martedì 27 dicembre 2011

Nòmm, cugnòmm e patria.di Mauro D'Orazi - dialetto carpigiano - Modena - nome, cognome e patria



prima stesura 8 dic 2009                                                              V326 del 28-10-2014

Nòmm, cugnòmm
e paatria
Trattatello di cognomica carpigiana

 Personalizzazioni e cognomizzazioni
nel dialetto carpigiano e dintorni

di Mauro D’Orazi

 **=M=**

con ricco dizionario di cognomi e nomi
in dialetto di Graziano Malagoli





Norme di trascrizione

Graziano Malagoli autore, assieme a Anna Maria Ori, del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011, ha curato il coordinamento complessivo del testo, la grafia delle frasi e delle parole in dialetto secondo le Norme di trascrizione, finalmente codificate, per la stesura del dizionario stesso.
Graziano Malagoli, Anna Maria Ori, Giliola Pivetti e Luisa Pivetti hanno contributo alla revisione del testo e della sintassi.
Le Norme di trascrizione adottate sono quelle di pag. XXII del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011” di cui, qui di seguito, si riporta il testo integrale.
“Il vocabolario adotta una trascrizione delle voci e della fraseologia modellata sulla grafia italiana, seguendo una tradizione lessicografica che ha quasi sempre impiegato adattamenti a tale grafia. In particolare, si segue il sistema di trascrizione semplificato messo a punto dalla Rivista italiana di dialettologia. Lingue dialetti società.
Le vocali i, a, u sono rese come in italiano, mentre la pronuncia aperta di e, o è indicata con un accento grave, la pronuncia chiusa con uno acuto; il fenomeno della lunghezza vocalica è particolarmente marcato nel carpigiano e per indicarla si è scelto di ripetere la vocale, sprovvista di accento, onde evitare l’accumulo di segni diacritici sovrapposti, come – nella tradizione – il circonflesso o il trattino: bièeva, butéer, fagòot, arióoṡ (e così per i, a, u: sintìir, cavàal, futùu). Le vocali è, é, ò, ó sono distinte solo sotto accento, mentre in posizione atona sono segnate e, o.
L’accentazione si indica con l’accento grave, salvo i casi citati di é, ó (dove tale accento denota anche la chiusura della vocale), quindi ì, ù, à: ad es. scarnìcc’, fisù, bacalà.
Di norma, per semplicità, non si accentano le parole piane (ad es. bussta), ma soltanto quelle che hanno l’accento sull’ultima (arvùcc’) e sulla terzultima sillaba (ṡàberia); allo stesso modo, di norma (escluse alcune forme verbali come dà, fà, dì) non si accentano le parole monosillabiche (csa, al), a meno che contengano é, ò accentati per indicare la qualità aperta o chiusa (, èl, bòll).
Per indicare sempre con sicurezza le semivocali, senza complicare la grafia con segni estranei al sistema italiano (ad es. usando j), si avverte che, nella parola, i, u a contatto con vocale hanno valore di semivocali, in caso contrario recano l’accento (mìa, tùa).
Sono rese come in italiano le consonanti p, b, t, d, m, n, r, l, v, f. Per le palatali e le velari si adottano le norme grafiche italiane. Le affricate palatali sono indicate con c, g davanti a e, i: ad es. ducèer, bòocia; con ci, gi davanti ad a, o, u: ad es. ciàapa, baciòoch, paciùugh, gianèin, giocaatol, argiulìi; con c’, g’ davanti a consonante e in fine di parola: ad es. òoc’, curàag’. Le occlusive velari vengono indicate con c, g davanti ad a, o, u: ad es. catèer, còpp, cun, galupèer, góob, guàast, (tuttavia – questa volta in ossequio alla
tradizione – si è usato il segno q per aaqua, daquèer e simili); con ch, gh davanti ad e, i, di norma davanti a consonante e in fine di parola: ad es. bachètta, bèech, béegh, sanghnèer, stanghèer, lèegh, liigh, brighèer. Per quanto riguarda le sibilanti dentali, come è noto l’italiano non distingue graficamente tra sorda e sonora: seguendo l’esempio di alcuni vocabolari
nazionali, indichiamo con s la sorda e con la sonora: ad es. baṡèer.
La laterale palatale è resa con gli davanti ad e, a, o, u: ad es. striglièer, butigglia, manigliòun; con gl davanti ad i e in fine di parola: ad es. ègl’idèi. Quanto alle nasali, abbiamo – oltre a m, n – la palatale gn, tutte rese come in italiano, anche in finale di parola: ad es. fuggna, paagn, staagn.
Le consonanti intense vengono indicate, come in italiano, mediante il raddoppiamento della consonante semplice: ad es. bagaiètt, aluminni; in caso di digrammi, come in un paio di esempi già visti (butigglia, fuggna), viene raddoppiata soltanto la prima lettera.
Infine, quando un nesso grafico non rappresenta un unico suono, ma la successione dei suoni indicati dalle singole lettere, esso viene sciolto con l’inserzione di un trattino: ad es. s-ciòop, s-ciafòun, s-ciflèer.”




Tabella per facilitare la lettura

a     a come in italiano                   vacca
aa   pronuncia allungata                laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)              martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe   e aperta e prolungata             andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é     e chiusa (come in regno)         méi, mé
ée   e chiusa e prolungata             véeder, créedit, pée

i i come in italiano                         bissa, dì
ii     i prolungata                           viiv, vriir, scalmiires, dii

ò     o aperta (come in buono)        pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo   o aperta e prolungata             scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó     o chiusa (come in noce)          tó, só, indó
óo   o chiusa e prolungata             vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u     u come in italiano                   parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu   u prolungata                          bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’    c dolce (come in ciao)             vèec’ , òoc’
cc’   c dolce e intensa (come in faccia)  cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch   c dura (come in chiodo)          ṡbòcch, spaach, stècch
g’    g dolce (come in gelo)            curàag’, alòog’, coléeg’
gg’  g dolce e intensa (come in oggi)   puntègg’, gurghègg’
gh   g dura (come in ghiro)            ṡbrèegh, siigh

s     s sorda (come in suono)          sèmmper, sòol, siira
     s sonora (come in rosa)           atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c  s sorda seguita da c dolce       s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch


Nòmm, cugnòmm e paatria

Il titolo è stato molto opportunamente suggerito
dal mio compagno di liceo dr Mario Martinelli - valente medico e scrittore.

Trattatello di cognomica carpigiana
di Mauro D’Orazi

Dedicato a quattro grandi donne
Giuseppina Bertolazzi, Anna Bulgarelli, Franca Camurri
e Jolanda Battini


Parti del testo sono state pubblicate inizialmente
su Voce di Carpi n 48 del 23-12-2009.

Questa fu la mia prima ricerca sul dialetto carpigiano del dicembre 2009; da allora il testo è stato arricchito e perfezionato centinaia di volte con il contributo di tanti appassionati.
In gran parte è poi stato inserito, come “super capitolo”,
nel mio libro La Ruscaroola èd Chèerp DUE del maggio 2014
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Nomi e cognomi

L'esimia Enciclopedia Treccani ci ricorda che il sistema onomastico italiano e del mondo occidentale è fondato sul nome e sul cognome
Il sistema romano era a tre nomi (Gaio Giulio Cesare - prenome; nome, corrispondente al nome della famiglia; cognome, in origine un soprannome, poi diventato ereditario.
Questo sistema entrò in crisi nel tardo Impero quando si diffuse un nome unico, spesso completamente nuovo, in parte d'ispirazione cristiana (come Renatus, cioè "nato a nuova vita" dopo aver ricevuto il battesimo), più tardi di formazione germanica (per es. Alberto, formato di due elementi che vogliono dire rispettivamente "tutto" e "glorioso", quindi "ricco di gloria"). In seguito, i nomi tendono sempre più a ripetersi: nell'11° sec. l'onomastica, la tecnica del denominare, s'impoverì e svolse male la funzione di distinguere i vari individui di una società. Nacquero allora, in Italia e altrove, molti soprannomi che si aggiunsero al nome per definirlo. Ebbe così origine, a poco a poco, il sistema moderno: i nomi aggiunti nel Medioevo si fissarono come nomi di famiglia e furono la base dei vari cognomi.

Nome e cognome o cognome e nome?

Un giorno si presentò a Giosuè Carducci, quando era docente universitario a Bologna, uno studente, pregandolo di volergli firmare il libretto di frequenza. “Come si chiama lei?”, gli domandò il Poeta. E quello, timidamente, “Rossi Arturo”. Bruscamente, quasi sgarbatamente, il Carducci gli restituì il libretto senza neppure aprirlo: “Le farò la firma quando avrà imparato a dire correttamente il suo nome!”. Lo studente guardò il professore con aria interrogativa. E il Carducci, ancor più severo: “Per sua regola, si dice e si scrive sempre il nome prima del cognome. L’eccezione è ammessa solo in caso di necessità alfabetiche!”. E il libretto non fu firmato.
La norma tradizionale della nostra lingua vuole il nome collocato sempre prima del cognome. Qualcuno obietterà: e che male c’è a mettere prima il cognome e poi il nome? L’unica risposta possibile è questa: qui non si tratta di una regola trasgredendo la quale si commette un errore, ma di un uso diventato norma comunemente accettata, e che non c’è ragione per non rispettare.
Volendo, c’è anche una ragione pratica per attenerci alla sequenza “nome più cognome”: se mi presentano Alberto Bruno, e la regola non si rispetta, non saprò mai quale sia il nome e quale il cognome di questo signore; e se mi scrive Rosina Alessio potrei restare a lungo nel dubbio se si tratti di un uomo o di una donna.
Tutto questo naturalmente non vale quando c’è la necessità di un allineamento per ordine alfabetico, che ovviamente privilegia il cognome: un registro scolastico, l’elenco dei promossi, dei vincitori di un concorso eccetera.
Anche nei manifesti teatrali, e nei titoli di testa o di coda dei film, al momento degli “E con (in ordine alfabetico):...”, pur essendo gli attori messi in fila secondo l’iniziale del cognome, vedremo scritti prima i loro nomi di battesimo. L’eccezione, dettata da una scelta poetica, furono i titoli di coda del capolavoro di Ermanno Olmi: “L’albero degli zoccoli”. Qui i nomi di personaggi e interpreti scorrevano con il cognome davanti al nome, come in un severo elenco anagrafico. Questo perché i personaggi erano poveri contadini d’altri tempi, abituati a declinare le proprie generalità con il cappello in mano e sempre con un po’ di soggezione.


A Carpi

Anche i dialetti sono interessati a pieno a questa importante tematica, legata strettamente all’individuo. Nel dialetto carpigiano, ma anche in quelli delle città e paesi circostanti, esistono interessanti e divertenti modi verbali che, citando persone immaginarie, immaginifiche o forse realmente esistite nei secoli scorsi, evocano simbolicamente particolari situazioni. Tale simpatica pratica trova anche una sua autorevole certificazione storica nel motto latino di Tito Plauto: “Nomen est omen “ o anche più in sintesi “Nomen omen“, a significare che già nel nome o nel cognome di una persona si racchiude un presagio o il suo stesso destino o, più semplicemente, una sua qualità o difetto, un vizio o una virtù. Parimenti evocare il nome di particolari e strani personaggi sopra le righe, ben conosciuti da tutti nella ristretta comunità del passato, oppure di noti luoghi di lavoro, significava trasmettere con immediatezza un loro modo di essere o di vivere, che poteva essere preso ad esempio per circostanze nelle quali chiunque si poteva imbattere o essere coinvolto nella vita di tutti i giorni.

Wikipedia ci ricorda che i Romani ritenevano che nel nome della persona fosse indicato il suo destino; bisogna annotare molto brevemente che presso i latini il prenome dato alla nascita non aveva significato sociale, il nome e il cognome venivano invece ereditati dal padre, ma il cognome e l'agnome (cioè soprannome noto tipo Scipione “l’Africano”) potevano essere dati dalla gente.

Oggi la locuzione latina è usata quasi sempre come una accezione sarcastica, quando nel nome, o nel cognome, della persona è ravvisabile un significato negativo inserito in un contesto di critica.
In questa sede non mi soffermerò sugli scutmàai, tipici soprannomi carpigiani; la materia è stata già trattata anni fa da Attilio Sacchetti in modo completo ed esaustivo, ma della “personalizzazione” di alcuni cognomi o nomi.

Nel nostro dialetto esiste questa pungente, caustica e divertente figura dialettica, spesso... appunto... negativa... , ma non sempre tale, che unisce genericamente particolari tipi di situazioni o loro esiti a nomi o cognomi. Espressioni oggi tutto sommato poco note e che tendono a sprofondare nell’oblio, come gran parte delle più belle sfumature del nostro dialetto. Prima che vadano perse per sempre, proviamo a ricordarne qualcuna (ho aggiunto anche qualche simpatico aneddoto che mi sembra di tematica inerente).
Abbiamo dunque, e non di rado, fenomeni di “cognomizzazione” generica – quindi di personalizzazione astratta – di sostantivi, aggettivi, verbi dialettali che indicano fatti, situazioni personali, caratteristiche fisiche. Questa cognomizzazione avviene per assonanza.
Anticipo brevemente alcuni casi: “balùugh” (strabico) diventa Ballugani; “muntèer su ” – verbo gergale dialettale che significa “arrabbiarsi” “adirarsi”, diventa “Montorsi”; ecc …
Vi è poi la cognomizzazione “concreta” di una situazione, di una condizione con preciso riferimento ad una vera, reale persona fisica che ne rappresenta il prototipo.
Ad esempio: “Nicudèel” e “Nicudée” al plurale (scutmàai di Barbieri Olivo) il più grosso possidente agrario di Carpi dei primi del ‘900 - quindi sinonimo di grande ricchezza; idemPalòoti”, l’ingegner Pallotti, bolognese ricchissimo proprietario.
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Ecco, più sotto, elencati una corposa serie di gustosi esempi, che gradualmente stanno arricchendo questa raccolta, che inizialmente doveva essere di due sole facciate, ma che col passare del tempo ha raggiunto una dimensione consistente, grazie al cospicuo contributo entusiasta e divertito dei numerosi carpigiani contattati.

Spesso queste frasi sono pesantemente maleducate, scorrette, indelicate, spietate, crude, grevi, ma tali erano e sono nel sentimento e nel parlato di questa città e quindi dobbiamo prenderne atto con tolleranza cognitiva, come uno spontaneo prodotto della “Vox Populi”… e quel che segue.
Quindi per quanto riguarda la pesantezza e la scorrettezza di certe espressioni dialettali... esse sono così e devono essere riportate così per correttezza "filologica e scientifica"; non è che si possa fare i censori (un ruolo che ho sempre aborrito) e per di più a posteriori. Non dimentichiamoci che il nostro passato era povero, contadino, sessista e duro: bisogna prenderne atto e basta, senza moralismi.

Occorre anche sottolineare molto chiaramente che ci troviamo in un campo dove NON esistono verità assolute. Quando ci sono versioni diverse... vengono inserite tutte citando le fonti. In questo ambito esiste sì una verità iniziale, ma essa col tempo può essere stata modificata e stravolta dall'uso effettivo: se tizio riportò una frase sbagliata (o con il senso impreciso) in una osteria o in un bar e questa divenne luogo comune, nel senso errato, tale nuova accezione un po' alla volta si è trasformata essa stessa in "una nuova verità", almeno in quel particolare microcosmo.

Le mie osservazioni appena descritte si possono riassumere con questa frase che dà un’idea esatta della situazione: òogni ca la gh à la sò risèeta pèr fèer al gnòoch fritt e i caplètt.ogni casa ha la sua ricetta per fare il gnocco fritto e i cappelletti. E sinceramente debbo dire ho assaggiato tante cose buone, ma non ho ancora trovato due cose cucinate in modo identiche. Ma … questo è proprio il bello … del gnocco fritto e dei cappelletti.
Per questi motivi ho deciso di non preoccuparmi più di tanto, dato che non sono le verità a essere relative, ma sono la relatività, la relazione, a essere sempre presenti nelle cose.

Quando mi sono capitate sott’occhio frasi e modi di dire particolarmente interessanti provenienti da comuni vicini a Carpi relativi a queste tematiche, li ho riportate senza indugio, ritendo che si trattasse di materiale comunque interessante, degno di nota e di essere conosciuto, se non altro per raffronti e comparazioni.
Se qualche mio concittadino iper iper-DOC, malato di super ego di presunta superiorità e spocchia carpigiana, dovesse fare il naso storto e avere principi di svenimento su tali “allargamenti”, ha due soluzioni: o salta il paragrafo, o cessa la lettura. Bòon viàaṡ!
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Una nota che vale per quasi tutti gli esempi. È inutile chiedersi il perché specifico di questi modi dire. Essi nascevano in epoche dove i media non c’erano, denaro per i divertimenti … neppure. Solo la parola era gratis ed era normale che la gente si confrontasse in questo campo, dando libero sfogo alla fantasia con ironia, arguzie, facezie, prese in giro, ecc … anche da duu sòold, se si vuole. Ma non era la qualità del dire che contava, ma il dire stesso che rappresentava un importante aspetto di vita sociale e di relazione.
Nulla sfuggiva del … prossimo e del meno prossimo. E tutto veniva socializzato senza troppa pietà, indulgenza o comprensione. Anzi … !
Il “politically correct” era ben al di là da venire.
Ormai non sapremo più chi erano, se effettivamente sono esistiti, … Bassoli Alfredo o Scarselli Amilcare, protagonisti di paio delle tante frasi che riporterò in questa ricerca. Ma che importa?
Primo numero unico satirico, appena finita la guerra.
La gambaróola  del 25 luglio 1945 – Pubblicità della Ditta  Scarselli
L’aspetto che davvero contava era il gusto rituale dalla battuta, dello sfottò, della rima obbligata. Microscopiche recite, ripetute cento, mille, infinite volte, ma che immancabilmente portavano al sorriso, nonostante il loro contenuto trito e scontatissimo, prevedibile e previsto, banale e dozzinale.
Sotto, infatti, c’era sottinteso e condiviso, unico e prezioso un substrato di decenni, talora di secoli, di intima e genuina carpigianità.
Tanti amici e amiche ce la stanno mettendo tutta, perché tutto questo non scompaia e per quanto possibile venga tramandato.
Impresa vana ? Non direi! E comunque ostinatamente ci proviamo lo stesso.
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Cognomizzazioni carpigiane

* Di fronte a una domanda circa una situazione povera di risultati apprezzabili o con forte carenza di mezzi economici, fisici o materiali, ci si sentirà rispondere... “Bassoli!” … o “Bassoli Alfredo!... il tutto accompagnato da un significativo movimento di una mano verso terra.
Si può riferire anche al posteriore di una persona che è collocato dalla natura matrigna in una posizione ad altezza … contenuta. Stiamo parlando del classico cuul baas.

* per indicare una circostanza che presenta estrema penuria di risorse o per indicare persone non proprio propense ad allargare i cordoni della borsa, si pronuncia … “Scarselli!”... oppure... “Scarselli Amilcare!”...

* di persona pesante a sopportarsi, una borsa … insomma ! Si potrà dire... “Borsaari ! oppure “L è un bèel Borsaari ! .


Bóorsa e Borsaari

* con assai poca delicatezza una persona strabica può essere nominata con uno spietato “Balugaani “; intuitivi “Beviini”, per una persona che ha sviluppata inclinazione per vino e alcolici, e “Falsètti” per uno che difficilmente dice la verità; a corredo si potrebbe aggiungere la frase “Al ne diiṡ la veritèe, gnaanch al dutóor!” … “ Non dice la verità nemmeno al suo medico che lo ha in cura !”;
 

* “T ii pròopria un Braghiròol(i) ! “ … “ Sei proprio un Braghiroli !” da braghéer che significa essere curiosi delle cose degli altri, impiccioni e pettegoli; secondo Parmeggiani si tratta di una cognomizzazione e quindi una personalizzazione per esteso a individuo talvolta indisponente e fastidioso dell'epiteto dialettale braghéer (curioso, ficcanaso) che, secondo i nostri linguisti più accreditati pare sia dovuto ad assimilazione e accomodamento lessicale dal francese blaguer (motteggiare), con caduta e adozione di consonante liquida più dura, dovuta forse a manifesto spregio verso la soldataglia transalpina durante l’occupazione francese del nostro antico principato nel secolo di Lumi;

* di persona molto permalosa, incline ad arrabbiarsi improvvisamente, cioè a "muntèer su", si potrà dire" Éhi, Montóorsi! ";

* sempre per indicare delle persone permalose e che si inalberano facilmente si può loro affibbiare il soprannome di… Montini;

* esiste a Carpi una strana categoria di personaggi denominati arvèers (rovesci), gente non conformista e che detesta le cose che vanno bene alla maggioranza delle persone. Io mi onoro di fare parte di questa categoria. Anche qui è normale sentirsi appellare con bel … “Vèe Rovèersi! Mètt èt mò chiéet !(“Oh Roversi, mettiti tranquillo !”). A proposito dei Roversi / arvèers vale la pena di ricordare un gustoso aneddoto che dà un senso alla carpigianità. Anni fa in una assemblea di uno dei tre club con piscina di Carpi si discuteva della costruzione di nuovi spogliatoi, con una spesa prevista di alcune decine di milioni di lire. I presenti, quasi cento soci, ascoltavano pazientemente il presidente che illustra i motivi che giustificano la nuova opera muratoria e soprattutto la spesa di una certa consistenza. “Gli spogliatoi esistenti hanno un po' di problemi e il riscaldamento non funziona benissimo. Il nuovo e moderno edificio andrà a vantaggio dei numerosi atleti ospiti, ma anche dei soci, naturalmente. Il tutto si concretizzerà in un beneficio del confort e dell'immagine del club. …
Dopo numerosi interventi favorevoli, un socio, SOLO UN SOCIO, si dichiarò fermamente contrario allo spogliatoio e all'impegno finanziario. " S a viin dla giint da fóora (se viene della gente da fuori) - disse i s faràan pò la dòccia cun l'aaqua frèdda (si faranno la doccia con l’acqua fredda). A nn è màai mòort nisùun !!! (Non è mai morto nessuno)". L'opinione del tizio era granitica e le ragioni del suo NO furono espresse e reiterate in una lunga polemica che si concretizzò in una accesa discussione di oltre un'ora, durante la quale molti dei presenti con interventi pieni di moderazione e buon senso confermavano la positività della scelta.
Ma a un certo punto la polemica salì di tono e, al termine dell'ultima intemerata, decine di occhi, pieni di compatimento e di impazienza, guardavano con una certa pena e fastidio il solo pervicace contrario.
Questi, con gli occhi fuori dalla testa, si alzò allora di scatto e indicando col dito roteante e minaccioso TUTTI i presenti in sala, urlò:
"Savìi v ’sa v ò da diir? (Sapete cosa ho da dirvi ?).... A sii TUTT di ARVÈERS !!!!!"  E uscì DA SOLO dalla sala …

* ancora in tema la fantomatica ditta "Arbaltati & C.", per indicare un arvèers o meglio in questo caso un arbaltèe (sempre sul concetto del “rovesciato” o anche di umore nerissimo), con una frase tipo … " Mò vè chi gh è … Arbaltaati & C.!" .

* L è un Mattioli o un Matteotti, per dare del matto a una persona. Quando una donna (di ogni età) si dimostra nei suoi atteggiamenti di vita un po’ stramba, la si può apostrofare con: L’è ’na Matillde!”, dove il nome femminile naturalmente richiama l’assonanza con … matta;

*l è ‘na Barufàaldi! (è una Baruffaldi); ci si riferisce a una persona, più spesso una donna, che nelle vicende della sua vita, anche le più semplici, crea sempre complicazioni, “casini”, incomprensioni, liti che normalmente potrebbero essere evitate;

* di una persona non certo avvenente si può dire … A nn é gnaanch parèint cun Blòot! … ”Non è nemmeno parente con Bellotti! ”; sempre con lo stesso significato, autoironico … “ A n suun né bèel, né brutt … a suun Blòot!” … Non sono né bello, né brutto … sono Bellotti!”;

* quando uno non più fresco di età, si atteggia a comportamenti troppo giovanili, tanto da essere ridicolo … “Al vóol fèer al Giovanòoli!

* Óo òccio …Urbiini! Il cognome Urbini, che certo deriva dalla città marchigiana, qui viene utilizzato nella sua assonanza con orbo, nel senso di uno che ci vede poco;

* T ii un bèel Pivètti o Pivètta o … ‘na Piiva. Essere una “piva” con l’aggravante anche di “muntanèera” significa essere una persona noiosa, così come lo è certamente il suono monotono di un simile strumento a fiato;
* Óo Tòoni Cuurtis! Ecco una citazione particolare per il nome dell’attore americano di Tony Curtis, impiegato, con tanto di appropriata esclamazione, all’uso carpigiano delle cognomizzazioni, per indicare la qualità negativa di una certa persona, in questo caso … avara e poco propensa ad allungare il braccino per effettuare pagamenti di qualsivoglia genere o entità (avéer al braas cuurt);

L’avaro, la pèela cun al braas cuurt

* nel sito web “Chèerp in dialètt”, di anonimo irraggiungibile, troviamo questa interessante e pregevole annotazione di un modo di dire certamente antico che il misterioso autore sentiva pronunciare dalla nonna… Ṡgarblèeda è un termine per indicare uno che ha una brutta faccia. Deriva da un certo Don Sgarbi, un prete molto intelligente e colto, ma di notevole bruttezza. In particolare si sentiva il termine ṡgarblèe riferito a persone con gli occhi, e a volte anche le guance, cadenti: ṡgarblèer i òoc’ , è l'azione di tirare giù la parte inferiore degli occhi, ad esempio per fare brutte facce per scherzo. Dunque parola ṡgarblèe deve le sue origini al cognome Sgarbi. Sembra infatti che Don Sgarbi fosse un prete di Carpi, della parrocchia di San Francesco nella prima metà del ‘900. Questo prevosto era talmente brutt ch al gh iiva la tèesta ch la pariiva un sedròun (che aveva la testa che sembrava un cetriolo). Tutt i giiven ch al gh aviiva duu servée (tutti dicevano che aveva due cervelli) e che difaati l éera dimònndi inteligìint (difatti era molto intelligente). Quindi da allora una persona molto brutta si dice ṡgarblèeda, cioè fatta male come Don Sgarbi;
Secondo Graziano Malagoli siamo però di fronte a una leggenda di stampo antico, che anch’egli ebbe modo di sentire in relazione a questo prete.
Il termine Ṡgarblèe è tradotto sia da Lepri, nel suo dizionario bolognese, che da Bellei, in quello modenese, con “scerpellato”. Un’accezione presente anche in vari dizionari italiani, cioè con le palpebre rovesciate e gli occhi arrossati, quindi le guance non c’entrano. Con lo stesso significato è stato ripreso nel dizionario del dialetto carpigiano.


* “Zucchètti!” dalla ditta di biancheria, per indicare simpaticamente persone un po’ dure di comprendonio;
 
Zucca e zucchine

* “ Bugatti! ” dal nome della famosissima marca di auto, per indicare un oggetto falso (farlòoch) o una situazione economica compromessa che non consentiva pagamenti di debiti;


* “ Finètti ” per indicare una persona di modi fini, molto più spesso per indicare con ironia l’esatto contrario;

 
Bud Spencer e Terence Hill rozzamente alle prese con un piatto di fagioli

* “L è un Barufaaldi ! individua persona furbastra che semina zizzania e si diverte a provocare liti o baruffe;

* il dialetto sembra morto o malato grave irreversibile, però quando c’è e lo si parla, per assurdo, … vive, si modifica, produce qualche novità; ecco un recente “Botticelli” per indicare una persona in carne, con ovvia derivazione dal nome del sommo pittore Sandro Botticelli (1445 - 1510);
  
 Botticelli

* “Tirabaasi” o anche “óo Tirabàas! Chi gh à bòun Tìira! “ epiteti giocosi espressi talvolta ad alta voce, e alla lontana, all'indirizzo di un amico visto e salutato di sfuggita, mentre se la correva in bicicletta in qualche luogo.
Il richiamo assumeva forma di icastico e quasi fraterno saluto a coloro di cui, per esaurimento dovuto alla troppa pratica dei lombi o per avvenuta complicazione prostatica, si supponeva una forte "diminutio", se non addirittura una perdita totale, dell'impeto e della potenza virile nelle pratiche sessuali e quindi confinato, per la parte, interessata, all'obbedienza, suo malgrado, delle dure leggi della gravitazione universale.

*”Tardiini!” quando uno non arriva mai puntuale.

* Quando una canzone, la scena di un film o una intervista viene interrotta bruscamente a metà di una parola si esclama... “Taiòoli !! “… citando il cognome di un noto cantante (Luciano Taioli) fin troppo melodico degli anni ’50.

* Quando una persona ha il cervello un po’ decotto: “Óo … Fuṡaari ! che sta a indicare il cervello … fuso.

* “Vèe … Puciini, tiin al maan a ca tùa!” “Ohh Puccini, tieni le mani a casa tua!” Si scomoda niente meno che il noto compositore melodrammatico, però come affinità con verbo “pucciare”, nel senso di intingere o anche fare la scarpetta.

La frase viene pronunciata anche contro chi, parlando gesticola e tocca in continuazione e fastidiosamente l’interlocutore ..
Oppure quando, golosamente e senza ritegno, il vicino di mensa viene sempre a scuriosare e ad assaggiare nel tuo piatto (a ṡnaṡuplèer ind al tó piàat, in manéera sprudintèeda): fammi sentire questo, fammi sentire quell’altro.
* ’Sa dii t Bumbèerda? Cosa dici Bombarda ? Detto di ballista patentato aduso a raccontarle grosse.
Bombarda medioevale

* salutando la donna di un amico, qualcuno si è lasciato andare ad un abbraccio un po’ troppo accalorato: “Óoo mètt èt chiéet... Tochiigno! Ṡò al maan da la mobillia! Mettiti quieto Toquinho (dal nome del noto cantautore brasiliano).
Giù le mani dalla mobilia! Quando uno tocca oltre il lecito.
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* Curiosa è poi la quadruplice interpretazione del cognome Salvarani. Infatti se lo consideriamo in un ambito dialettale e lo accompagniamo a con un bel punto interrogativo … Salvaraani? …ecco che simpaticamente potrà essere tradotto in S alvaraani? Si alzeranno? … oppure in senso salvifico in S salvaraani? Si salveranno? … ancora Saalva raani? Salva le rane ? … S al va a raani, se va a rane, che dalle nostre parti ha un significato curioso di andare al diavolo o in giro a perdere tempo con attività o cose di valore inesistente. Infine: Salvaraani … al né va mìa a pèss … un gioco di parole che si basa sulla battuta: colui che dice forse domani mattina presto mi alzerò, poi difficilmente si leverà dal letto per andare a pescare.
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*Degni di nota sono anche questi giochi di parole sui cognomi Savani e Savoia.
’Sa vaan i faat … Savaani? e ’Sa v òo ia faat … Savòoia? Cosa vi hanno fatto Savani? Cosa vi ho fatto Savoia?

* A gh éera cal vcètt ch al giiva: "A staagh bèin, fin che Curadèin al tiin a bòota!” C’era un vecchietto che diceva: “Sto bene, finché il cuore tiene a botta!” Una eccezionale derivazione dal latino … cor, cordis = cuore.

* ’S a m còunt èt... Segantiini ? o Manetti & Roberts ? Cosa mi racconti … ? Dove Segantino non è certo il pittore, Manetti non è la ditta produttrice del Borotalco.

*La calma è la virtù dei Forti e la fruuta l'è da Ṡelòochi. La frase è un gustoso nonsense carpigiano e si riferisce a due conosciute e prestigiose famiglie di Carpi del secolo scorso che entrambe commerciavano in frutta. Gli Zelocchi avevano un importante ingrosso, in funzione anche oggi, fra viale Ariosto e la linea ferrovia, una sede molto comoda per ricevere la merce, ad esempio la frutta secca.
1914 Pubblicità della Ditta Forti
La sig.ra Rina Forti, recentemente scomparsa nel 2012, moglie di Novello Benatti e madre di Franco, era amica di gioventù di mia madre.

*L'è 'na Lia Ṡopèeli. É una Lia Zoppelli. Si prende a riferimento una brava e brillante attrice del secolo passato per indicare che un certa donna la mèerca un pòo cun 'na gaamba, cioè zoppica leggermente.

1960 Lia Zoppelli (1920 - 1988)

*L'è 'na Balabéeni, mò l'è un pòo sòopa. È una Ballabeni, un cognome in teoria adatto a una provetta ballerina, ma è... claudicante. Anche in questo caso l'humus corrosivo di cui è intriso il nostro dialetto si dimostra più che mai impietoso;

* negli anni ‘50 a gh èera un ch al gnìiva a l'Usterióola e al ciapèeva dal baali òorbi: il ciamevèen Dondoliini! (c’era uno che frequentava l’Osteriola e prendeva delle balle orbe: per il suo procedere insicuro lo chiamavano Dondolini;
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* Gavióol è un cognome padano molto diffuso anche a Carpi.
La parola gavióol nel dialetto carpigiano, ma anche nelle zone vicine, viene spesso viene usata, oltre che per un grosso e nodoso bastone con cui randellare qualche fastidioso malcapitato, come sinonimo di organo sessuale maschile proprio per la forma del pezzo di legno.
Ci sono poi i verbi derivati ṡgaviulèer e ancor più ingaviulèer stanno a significare rapporti sessuali molto focosi e decisi, con prestazioni maschili rigide, consistenti e durature, tali da potersene di solito vantare con gli amici al bar o in compagnia, con narrazioni eroiche e sesquipedali.
Il monsignor Francesco Gavioli, originario di Villafranca di Medolla, di cui la biblioteca di Mirandola ha ereditato una notevole raccolta di documenti e materiale cartaceo, ci suggerisce che l'origine del nome potrebbe derivare dal gavio.
 
Ruote di legno a quattro e a sei gavi

Il gavio, oltre che simboleggiare nel volgare l'organo maschile, era uno dei segmenti in legno rotondi che incastrati l'uno nell'altro davano la circonferenza della ruota dei carri. Di norma erano da quattro a sei segmenti. Andavano tenuti insieme con il supporto del ferro esterno circolare scaldato, e che una volta raffreddato comprimeva e teneva bloccati i gavi.
gavio
dal Dizionario Niccolò Tommaseo ed. 1872

Questo cognome è molto diffuso nel ferrarese, modenese, bolognese e mantovano. In generale lo si trova un po’ dappertutto lungo la valle del Po, poiché i gavioli erano coloro che aggiustavano le ruote dei carri agricoli che transitavano lungo le strade della Val Padana.
Un'altra versione, sull'origine Gavioli, è stata raccolta da Celso Malaguti sul periodico “Piazza Verdi” di Finale Emilia:
“È un cognome tipico della zona che comprende il veronese, il mantovano, il modenese, il bolognese, il ferrarese e il rodigino. È quindi largamente attestato a Modena, a Carpi e così pure a Finale Emilia. Muove dal personale medievale "Gaviulus", derivante dal nome proprio latino "Gavius", potrebbe inoltre derivare dalla "Gens Gavia", ben assestata nell'area mantovano-veronese. Ma è pure possibile che derivi direttamente o tramite modificazioni dal termine germanico "gawi" (villaggio, contrada). D'obbligo, per noi della Bassa, ricordare Monsignor Francesco Gavioli, che negli anni in cui è stato parroco di Villafranca, ha curato una ricchissima raccolta di libri e documenti, poi donati alla Biblioteca Comunale di Mirandola. Di rilievo inoltre il suo successivo incarico in qualità di archivista abbaziale a Nonantola.
La sterminata documentazione che il Monsignor Gavioli ha donato, prima di morire, alla biblioteca mirandolese "Eugenio Garin" è nota come Raccolta Gavioliana.”
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A proposito di Gavioli, ne accenna anche Franco Violi in “Cognomi a Modena e nel Modenese” (2007 Ed Il Fiorino), a p. 101, dove è scritto: "... muove dal person. "Gaviolus", documentato nel Chronicum Vulturnense, derivante dal nome proprio latino "Gavius". Un "L. Gavius Severus Mutina" è registrato nel Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, 2375".

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 Uso dei cognomi nei modi di dire

Continuiamo con numerose altre frasi con nomi e cognomi o appellativi di ditte e simili:
* ”Andèer vèers i Vròuna” … (“Andare verso dove stanno i Veroni” o andare verso casa). Locuzione carpigiana fra le più aperte alle interpretazioni. Secondo i più informati sembra essere desunta da un antico detto di contadini che, giunti a Carpi nel tardo pomeriggio per trascorre il loro tempo libero in gozzoviglie, nel gioco delle carte o in altri loro affari, a sera inoltrata o a notte quasi fatta, si esprimevano in tal modo nel consesso della compagnia con la quale si erano attardati. Ciò per significare la loro volontà di ritornare in direzione sud (versione di Franco Bizzoccoli) a casa per dormire, ovvero verso il podere e l’abitazione (tuttora esistente) dei Veroni, situato verso Modena. Per il talentoso scrittore carpigiano Carlo Alberto Parmeggiani il significato è analogo, ma la direzione sarebbe a nord, verso Fossoli. Una ulteriore versione ce la riferisce Graziano Malagoli: si tratterebbe di un luogo alla periferia del paese; infatti a Cortile indicava una viuzza a nord del “centro” della frazione.
Questa frase è quella che mi ha dato più da fare per una corretta ricostruzione del significato e dei riferimenti … tanto che la questione resta aperta. Unica cosa certa è che sicuramente non significa andare verso Verona.
NON è questa la giusta interpretazione

Il Parmeggiani osserva come Franco Bizzoccoli, nostromo, anarchico e libertario, attore di una certa fama, memoria storica e arguto conoscitore di vicende carpigiane, di solito contesta e rimprovera chi appoggia la provenienza fossolese dell'espressione succitata, sostenendo con sogghigno e voce roca, che la magione dei Veroni era ed è ancora situata nella parte a meridione della nostra cittadina, e più precisamente sulla strada, o stradone, che porta nel nostro capoluogo. Non potendo però avere riscontri più precisi e maggiori informazioni sulla locuzione di cui sopra, si è scelta, come in una esegesi, la "lectio facilior", ovvero un'interpretazione più facile e meno tribolata da verificare, condivisa peraltro da un'alta percentuale di persone ascoltate al riguardo.
Gianna Gamberini (Carpi): "A casa mia si diceva - A vàag vèers i Vròun – (senza la "a" finale) per dire - vado verso la casa dei Veroni -  oppure - A vàag vèers èd Vròuna - per dire in direzione di Verona.”

Carlo Carlòun Bertani (Carpi): "I miei venivano da Correggio -  Rubiera; mia madre diceva che i Vròuna erano una tenuta che si trovava sulla strada per Correggio, dove adesso c'è lo stabilimemto di salumi VERONI (sic!) per andare a Correggio (prima Italsalumi)."

A Limidi, ci ricorda Primo Saltini, è in uso anche la frase al piiga vèers i Vròuna (piega verso i Verona).

Marco Giovanardi (Carpi) ci porta una ulteriore interpretazione con un interessante supporto etimologico: "Io ho sempre inteso: a tóoren vèers ca mia, verso il verone di casa !! Verone = loggia, androne, o ingresso di casa.
Ecco la voce in etimo.it, da verificare:
Giosuè Carducci – Il Parlamento
“Da le porte le donne e da i veroni,
pallide, scarmigliate, con le braccia
tese e gli occhi sbarrati al parlamento,
urlavano: - Uccidete il Barbarossa! - .”

* quando si fa filotto a biliardo con le boccette e si realizzano i prestigiosi otto punti, qualcuno salterà su con un bell’... “Otaavio !! “ con riferimento alla casa vinicola di Ottavio Riccadonna di Canelli fondata nel 1921 e produttrice di omonimi vermouth e spumanti, molto presenti un tempo nei cafè o nei bar col nome proprio della ditta.

Il rinomato vermouth

* sempre restando nel settore dei distillati: "L è stèe ciapèe dai Fratelli Branca!"; è stato arrestato dai Carabinieri. Anche dalle nostre parti La Forza veniva chiamata scherzosamente "i fratelli Branca", perché, apparendo sempre in due, richiamavano l'idea di due fratelli, ma anche perché arrestavano, i branchèeven, cioè prendevano in mezzo e stringevano nella loro morsa di legge, non tanto il colpevole, quanto la colpa nella sua essenza;
   

* "L è un Bagònnghi!" … è un bagonghi, un nano. Lo si dice, con dipregio, di persona piccola e petulante che si dà arie di persona importante, senza esserlo.
Giuseppe Bignoli, detto Bagonghi (Galliate 1892 - 1939), è stato un famoso circense italiano.
Ultimo dopo due fratelli di statura normale, era affetto da nanismo e raggiunse solo un'altezza di 75 centimetri.
Nel 1905 lasciò Galliate insieme al circo equestre di Aristodemo Pellegrini. A 17 anni diventò il più piccolo cavallerizzo del mondo. Lavorò presso i maggiori circhi equestri d'Italia e degli USA, tra cui il Wirt Brothers Circus e il Ringling Bros. e Barnum & Bailey Circus.

* “Fèer un lavóor a la carlòuna” … svolgere un qualsiasi compito svogliatemente e senza impegno … un “baasta ch sìa”.
Il modo di dire deriva niente meno che da Carlo Magno e dal suo nomignolo francese Charlon. Nei poemi cavallereschi egli era descritto come persona semplice e alla buona.

* “Fiina, Gaiàan!... “ locuzione derisoria all'indirizzo di pessimi giocatori di biliardo in voga fra gli studenti, oppure scioperati, che frequentavano le sale da gioco del Bar Armagni sul finire degli anni Sessanta. Tale modo di dire prende spunto dall'imperizia più volte comprovata di tale Galliani nel gioco della Goriziana, in cui il nominato, nella giocata di garuffa o di ganasèin sulla palla da colpire, finiva immancabilmente con la palla battente in mezzo al castello dei piccoli birilli, procurandosi da sé un punteggio negativo a vantaggio del proprio avversario, il quale, divertito, per antifrasi così lo ringraziava, subendo però talvolta gli scatti d'ira del deriso, a cui non raramente seguiva una rissa generale sedata poi dal proprietario del locale con il ritiro delle palle in gioco e lo spegnimento della luce;

* sempre legate al biliardo due brevi citazioni un po’ fuori tema, ma che meritano di essere ricordate: 1) il birillo al centro è di colore rosso (a differenza dei laterali di colore bianco) e qualcuno con ironia lo ha sempre chiamato “ Al Sinndech ! ” con riferimento al costante colore politico del primo cittadino dalle nostre parti. All’abbattimento di tale birillo si poteva quindi dare anche una simbolica valenza politica; 2) anni ’70, Club del Corso, sala fumosa e in penombra, un pubblico attento e conscio della gravità del momento circonda l’unico tavolo verde in funzione degli otto in dotazione al circolo; si sta svolgendo la fase finale una partita a boccette molto importante; uno dei giocatori, con la stoffa blu del grembiulino da gioco, accarezza la sua ultima palla, l’accarezza e la liscia con premura e amore, la liscia quasi a volerle togliere ogni più minuscola impurità, ogni minimo granello di polvere; sa che è il lancio decisivo della serata; dopo un’attenta valutazione, il giocatore, nel silenzio più assoluto, pennella la biglia rossa per un delicato tiro a quattro sponde, intriso di tutta la sua lunga esperienza trentennale, per accostarsi quanto più possibile al pallino blu nel quadrante inferiore a sinistra … ; in quel lancio c’è dentro davvero tutta la sua vita affacciata da sempre su un tappeto verde; la palla, partita con buon slancio, via via, sponda dopo sponda, appare ogni centimetro più stanca, ma sembra arrivare precisa alla meta; il tempo sembra rallentare, quasi fermarsi, tanti occhi attenti seguono queste traiettorie matematiche e calibrate; occhi che spalancati e stupiti vedono però che la biglia inesorabilmente, sia pur di pochissimo, di un’ inezia, di un … niente … supera la distanza buona per fare il punto … dalla sala delusa si sente uno spontaneo, sommesso e corale “Ooooo !” … e una voce bassa, ma ben distinta, grugnisce spietata … “Tròop Siidol ! “ (Sidol … nome di una pasta speciale per lucidare i metalli);
 
 Birilli  e  Sidol

* per indicare un tiro fiacco si dice a fièe d òoca (a fiato d’oca) nel biliardo o anche nel calcio o un pagamento in contanti senza tutte le banconote necessarie... “Cuurti !“... “Curti Riso!” dal nome di una allora nota marca di tale prodotto alimentare;
 

*sempre in tema di tiri scarsi, ma questa volta nelle bocce, … “ Pàalida, Bèerni! ” … “ Pallida, Berni !” prendeva in giro chi era stato troppo prudente nel lancio; a corredo si poteva anche aggiungere un bel “bòocia lunnga, màai cuurta” che si contrappone allo scontato opposto … “bòocia cuurta, màai lunnga …”;

* una variante dal mondo sportivo era … Cuurti, Martegaani e Brunètti, una linea mediana di giocatori del Carpi calcio. Recitata a mo’ di litania, significava, oltre a quanto sopra ricordato, anche che si era stanchi, con forze non sufficienti (Curti appunto) a compiere una certa azione;

* Te gh èe 'na faata bòcca, ch la pèer al fóoren d Bernaròoli. Presa in giro per chi aveva una bocca molto grande. Hai una bocca che sembra l’apertura del forno di Bernaroli.

* nel gioco del cotecchio, forse al Bar Mercato di Via Alghisi, si urlava .. "Te vèe pò a cuacèer da l'Adéele!"... “Vai poi a coprire dall’Adele! ” . Era una frase ricorrente, con un palese significato di pratica sessuale, essendo questa Adele una nota e frequentata signora mercenaria di Modena, quando uno perdeva, da solo se finiva a 20 (massima umiliazione) o in compagnia se si andava a 10 o se non si copriva proprio, non facendo nemmeno una mano;

* se vi capitasse di passare all’inizio del Portico di Corso Alberto Pio davanti al Bar Tazza d’Oro di Donato, verso le due del dopo pranzo, potrete osservare, seduti con le carte in mano, un vivace, sboccato e rumoroso gruppo di antichi giovani carpigiani, un tempo veri leoni dominatori della Grande Piazza e oggi quasi esiliati nella angusta ridotta di questo luogo apparentemente senza tempo. Questi bravi ragazzi, che anche io frequento con gusto e divertimento, sono costantemente impegnati per una oretta a misurarsi senza pietà e remissione a briscola in 5: una curiosa variante del noto jeu de cartes che ha nella sua fase iniziale un piccolo drammatico “giallo “ su chi sia il compagno di colui che ha chiamato la carta e ha imposto il seme della briscola. Si gioca senza soldi, ma per l’onore di dimostrare di saperci fare. Lo spassoso teatrino delle quasi finte (ma non troppo poi) baruffe è sempre in scena: battute, canzonature, soprannomi, severe sgridate a chi sbaglia, ecc … In questo ambito il tempo scorre molto molto lento, ma inesorabile, sia pure con consapevole e disillusa rassegnazione di chi sa cogliere e si ostina ancora a voler vivere il Carpi diem. Qui sopravvive forse l’ultima testimonianza, l’ultimo baluardo verace di carpigianità in Centro Storico: significativa e sentita, ma, ahinoi, solo pallida eredità di osterie, fumiini, cafè d ’na vòolta.
Chi transiterà nei pressi di questo locale, fra urla e lazzi vari, potrà non di rado udire un perentorio e bizzarro ordine: “Ṡóoga la Bereniice!” … “Gioca la Berenice!” … cioè … gioca il due di denari.

Ma chi era costei ? Nella prima metà del ‘900 la signora Berenice Magnani in Candeli aveva una bottega di carbone da legna (detto carbone dolce) in Via Giordano Bruno (detta l’uultma … l’ultima via prima delle mura e di Porta Barriera) e aveva due occhi azzurri grandi e inquietanti che spaventavano i bambini di allora che andavano a comprare un kg di questo combustibile. Questi occhi avevano un ché di patologico, forse a causa di un disturbo alla tiroide, e potevano ricordare vagamente la carta da gioco in questione;

* ancora … il due di denari con derivazione reggiana è definito … “ I òoc’ èd Gregòori“ … “gli occhi di Gregorio”; mentre in alcune case carpigiane “la Bereniice” poteva avere lo stesso significato sessuale della più nota “Bernèerda”;

*Di una persona molto noiosa e poco intelligente: L è come Batissta, lunngh èd baal e cuurt èd vissta (è come Battista, lungo di palle e corto di vista intelletuale).

* epigramma essenziale, ma alquanto esoterico, della filosofia carpigiana, per cui siamo tutti noti fra i geminiani e le teste quadre, ovvero quella locuzione folgorante, dichiarativa, irridente, incomprensibile, assurda e amara di una visione del mondo in cui si nasce, cioè:
La vitta l'è un laamp,
la pippa l'è un staamp,
ogni sfrummbla un cavalètt,
a la furnèeṡa i faan i còpp …
e la fruuta l’è da Ṡelòochi.
La vita è lampo, la pippa è uno stampo, ogni fionda ha il suo cavalletto, i coppi li fanno alla fornace e la frutta è da Zelocchi - nota ditta all’ingrosso di frutta secca già prima citata;
I còpp

* Giudo Magnani (Carpi) ricorda che la nonna Assunta Mantovani, nata in via Duomo nel 1896, diceva spesso la frase:
a gh è ‘na bèela diferèinsa
tra la sòopa e la Lurèinsa;
c’è una bella differenza fra la zoppa e la Lorenza;
la cosa curiosa è che questo modo di dire lo usava anche mio padre che proveniva dal Lazio; il significato è che probabilmente fra le due donne era estremamente evidente la differenza di bellezza e forma fisica;

* “Pèr un puunt Martèin al perdè la caapa”. Per un punto Martin perse la cappa” … un detto noto anche in italiano e in francese, quando per pochissimo per una disattenzione si perde una partita, affare, un’occasione importante. Un errore riguardante un particolare apparentemente di scarsa importanza comporta talvolta conseguenze disastrose. Pare che il significato originale derivi dal fatto che nel XVI secolo, Martino era abate priore del monastero di Asello. Costui decise di apporre sul portale principale dell’abazia un cartello di benvenuto che recitava una frase nella quale c'era però un punto collocato fuori posto, che ne capovolgeva completamente il senso. La frase giusta doveva essere così: Porta patens esto. “Nulli claudatur honesto” (La porta sia aperta. A nessuna persona dabbene sia chiusa). Quella errata suonava invece in questo modo: Porta patens esto nulli. Claudatur honesto (La porta non sia aperta a nessuno. Sia chiusa alle persone dabbene). I guai derivati a Martino da un tale errore non si limitarono ad una figuraccia. La notizia di un messaggio così contrario alla caritas christiana, infatti, raggiunse le alte sfere ecclesiastiche e forse lo stesso Pontefice, che decretarono l'immediata sollevazione dell'abate, privandolo della cappa (cioè il mantello) che era il simbolo della dignità del priorato;

* “Vèee Baṡaaglia!” per indicare una persona che le spara grosse; questo Basaglia era uno di S. Marino con la forte inclinazione ad alzare il gomito e a eccedere nelle dimensioni delle vicende raccontate durante i frequenti stati etilici; era il nonno dei fratelli Forghieri, meccanici da bici e motorini in via Matteotti;

* La poetessa carpigiana Luciana Tosi si è divertita a giocare su assonanze ed equivoci sul suo cognome e ne è uscita una cosa molto divertente:
Un quelchdùun al s in tóoṡ... e sèinsa èsser un Tóoṡ... al tóoṡ quèll ch al ne vrèvv tóor. E pò dòop al tòss. La traduzione purtroppo non riesce a rendere bene i giochi della frase: Qualcheduno se la prende e, senza essere un Tosi, prende ciò che non vorrebbe prendere. E poi dopo tossisce.
La poetessa carpigiana Luciana Tosi

* Mortus est … màai più Sacaagna. Ecco un’interessante locuzione mista fra latino e dialetto. È morto, non si arrabatta più; che trovi alfine la pace. Non c'è più nulla da fare, da agitarsi... riposi dunque in pace. Sacagnèer in francese significa fracassare a colpi di coltello, quindi in modo approssimativo. Nel nostro dialetto mantiene questa accezione di fare le cose in modo agitato un po’ alla meno peggio, approssimate, confuse. Ci si affatica, ci si sforza ci si affanna per risultati mediocri.
A Carpi è una parola che è stata “cognomizzata” nel senso che è stato riferita a un Saccani che si agitava parecchio o a qualche personaggio che per il suo modo arruffato di vivere si era meritato lo scutmàai o meglio al sovernòmm di Sacaagna.
Tutto ciò mi fa dà lo spunto per parlare di un imbianchino pittore che viveva e operava a Carpi circa a metà del secolo scorso. Di cognome faceva Bisi ed era una persona dalla battuta facile e di grande efficacia; ma per la sua arte di non eccelsa qualità e pregio era appunto soprannominato Sacaagna. Si raccontano di lui un paio di simpatici episodi.
Una volta stava pitturando la striscia scura di un battiscopa … storta e ondulante.
Alle contestazione del padrone di casa, rispose imperturbabile: Mò quàand la s sècca, la s drissa! Tranquillo! Quando il colore si secca, la linea si raddrizza.

Un'altra volta un casaro di Santa Croce gli commissionò la figura di un leone da mettere su una parete esterna dell’edificio, in modo da far da simpatico richiamo per la clientela. Inaspettatamente si sentì chiedere di scegliere fra una misteriosa alternativa: “Al vóo t cun la cadèina o sèinsa?Lo vuoi con la catena o senza ? Il casaro non capì bene, ma scelse quella più economica senza catena.
Finita l’opera, peraltro di un certo effetto scenografico, alla prima forte pioggia, l’immagine sbiadì e si scolorò quasi completamente.
Disperato il committente corse dall’artista per contestare il fatto. Al ché Sacaagna, che aveva colpevolmente usato colori che non potevano reggere alle intemperie, rispose:Bè ?? ’Sa pritindìiv èt ? Te n l èe vluu sèinsa cadèina? L è scapèe vìa!” Cosa pretendevi? Lo hai voluto senza catena ? Il leone è scappato via! ;
 

* “Éeeeeeeeee la vaaca d Pedrètt!” … esclamazione di meraviglia espressa solitamente per sottolineare effetto esagerato, o fatto incredibile che può avere somiglianze fantasiose con il vero. Fu un tempo una tipica locuzione dei contadini inurbati nelle prime periferie carpigiane sul finire degli anni Cinquanta e, nella sua espressiva coloritura, pare faccia ricorso al ricordo collettivo di una mitica femmina di bove, ospitata nella stalla di tale signor Pedretti, mezzadro, dicono i più, o coltivatore diretto di una frazione imprecisata del nostro comune. Tale femmina di bove pare dunque avesse una stazza quasi doppia delle sue consorelle e un capezzolo in più nella capiente mammella, dal cui orifizio prodigioso si diceva fuoriuscisse una copiosa lattigine pressoché burrosa e, per alcuni, già pastorizzata e che, pertanto, bastava soltanto conservare in appositi contenitori, poi accuratamente impacchettati al fine di essere venduti a peso, incrementando così le entrate di danaro e le fortune del Pedretti e dei suoi familiari;
Talora anche nelle varianti … la vaaca d Maìin! o d Melèe, cioè di tali Maini o Melè.
Una leggenda dice che i Melèe, scutmàai della famiglia Vecchi, erano degli agricoltori di Cognento di Modena; costoro possedevano una mucca, che pur essendo gravida, non partoriva mai. Il detto dunque ha anche il significato di indicare in generale una cosa che non arriva mai a termine, cla n riiva màai a unna.


* ”S t andìss a méeder da Papòot!” … “Se tu andassi a mietere da Papotti ! espressione di contrarietà e di sbrigativo disimpegno dalla presenza e all'indirizzo di persona querula, indisponente e per di più noiosa. L’invito perentorio prende spunto dalla fatica della mietitura nella stagione estiva e alla quale, per dare maggior forza e realtà visiva alla suddetta locuzione, viene associato il nome di Papotti, antico proprietario terriero carpigiano. In questo podere in mezzo alla polvere e sotto la canicola feroce, veniva meno, con plausibile evidenza, il tempo e la voglia di stare ad ascoltare inopportune e disutili lamentazioni, oltreché la voglia di acconsentire al cincischiamento, sia del più come del meno, o su questioni di lana caprina, talora assurte ad asserzioni sui massimi sistemi;

* ”S t andìss (a) buèer fiss a la Gaiàasa !” … “Se tu andassi a fare il bovaro stabile alla Gagliaccia (Galeazza)“ …il significato è quello della frase sopra sempre citata da Lele Forghieri; bisogna ricordare che il lavoro del bergamino era durissimo e disagiato, con poca libertà e soddisfazioni morali ed economica, perché al béestii i maagnen aanch a la dmènnga e pèr Nadèel (perché le bestie mangiano anche la domenica e a Natale). Il podere / stalla della Galeazza doveva, visto il nome, essere particolarmente in cattive condizioni in modo da peggiorare ulteriormente la frase di invettiva.

Maagna, bèvv e tèeṡ e va a ciamèer Malavèeṡ!” Mangia, bevi e taci e va a chiamare Malavasi.
È una frase usata per far tacere qualcuno e indurlo finalmente a compiere un atto, ad esempio un bambino che continua a parlare anche col piatto pronto davanti e non si decide a mangiare
Malavèeṡ... s la va bèin l è un chèeṡ! Malavasi... se va bene è un caso.
Il Parmeggiani ci aiuta a risolvere il "mistero" di questi modi di dire legati al cognome Malavasi; nei suoi ricordi giovanili di giocatore di cotecchio con persone molto più anziane di lui, Malavèes veniva spesso citato nella locuzione: "Ormàai t ii andèe da Malavèeṡ!" Questo succedeva durante una partita durante la quale un giocatore era ormai sul punto di andare fuori a 10 o, peggio, a 20 busche.
Si intendeva significare che per lui la partita era ormai finita, essendo stato, Malavèeṡ, a loro dire, un antico personaggio carpigiano (1800 ??) che di mestiere faceva al buṡèer, ossia il fossaiolo, il becchino al cimitero di Carpi.

* quando alla domenica mattina il padre di Anna, Ruggero, al s tirèeva a spiigol viiv o a stucch luccid, così come costumava una volta, e qualcuno gli chiedeva maliziosamente ammirato... “ Ma indù vèe t ?” … lui rispondeva sicuro e ironico … “ A vaagh a méeder da Palòoti ! “ o “ A vaagh a mèssa cun Palòoti!. Si tratta di un espressione (la prima) assonante con la precedente sul mietere, ma forse più verosimile e con significato ben diverso. L’ingegner Pallotti, bolognese ricchissimo proprietario agricolo di aree fabbricabili tra le mura est e la stazione e di una vasta tenuta sulla statale per Modena angolo via Bella Rosa, oggi di proprietà dell’Università di Bologna Facoltà di Agraria. L’area appunto a est del centro storico (Viale Focherini e dintorni) sarebbe stata la prima zona di espansione di Carpi, dopo l'abbattimento delle mura con l’insediamento di belle ville liberty signorili. Pallotti fu dunque il primo lottizzatore di aree fabbricabili in Carpi dopo la prima guerra mondiale; un sassolese lo fu dopo la seconda, a conferma della validità di una tesi che vede la società carpigiana come “auto castrante” e incapace di progredire positivamente, conservando contemporaneamente la sua identità. L’andare a mietere del grano ( o meglio grana !!! ) con il signor Palotti o il condividere una posizione di privilegio a fianco a lui, in una evidente e prestigiosa e occasione di un giorno di festa, era motivo di grande soddisfazione;

* ”A n suun mìa al fióol d Nicudèel!oM èe t tòolt pèr al fióol d Nicudèel? Si trattava di un ricco proprietario di fondi e immobili. Veniva pronunciata quando a una persona si chiedeva un prezzo molto alto per una cosa o presentato un conto molto esoso da pagare; oppure a un figlio che pretendeva troppo... "sa crèdd èt d èsser al fióol d Nicudèel !".

Ancora: “A n gh ò mia la bóorsa èd Nicudèel ! Cara figliuola mia… non ho certo la borsa con tanti soldi come il signor Barbieri, da poter accontentare i tuoi desideri!”

 

In questa foto del 1948 di Becchi è ritratto il famosissimo possidente carpigiano Onesto Barbieri, meglio conosciuto cun al scutàami èd Nicudèel.

 

*di identico significato … “A n suun mìa al baròun Franchètti !” … il barone Franchetti era un nobile ricchissimo e molto noto vissuto in Italia tra l’ ‘800 e i primi del ‘900;

* ancora … Sa pèins èt d èsser fióola dal principe Torlòonia ? Cosa pensi di essere figlia del principe Torolonia; questa famiglia aveva una vastissima tenuta agricola in Romagna;

 

* “A n suun mìa al fióol dla Schifóoṡa !ha invece significato opposto, nel senso che si vuole essere tenuti in considerazione; il detto è simile a n suun mìa al fióol dla sèerva!

 

* “A n suun mìa l’Òopra Pia (Paltrinieri)!” è la pronta replica di uno a cui viene richiesto un atto di generosità non giustificato o né lontanamente pensato e voluto;

* con significato simile anche la frase … “Dunèin l è mòort e sò fióol al stà mèel.” … “Donino (da donare) è morto e suo figlio sta male” … col significato che non c’è proprio nulla regalare;

* il titolare di un debito inesigibile (o anche ritenuto ingiusto) veniva apostrofato con un … “ T i vèe pò a tirèer da Maama Nina !” sottinteso i béesi (soldi), nel senso che nessuno si sarebbe attento a chiedere denaro a questa illustre istituzione benefica;

* in periodo di crisi e “d bulètta” … “ di bolletta” (come l’attuale a Chèerp) si diceva … "Chè a gh è dla Filumma !!". Sembra derivi da una certa Filomena, parente di un certo Grustèin. Costoro vendevano sotto il voltone del castello, nel dopo guerra "al rumlèini e al castaagni a duu scuud a scartòos” … “le romelline di zucca e le castagne a 10 lire al cartoccio”;
* “Galli & Mai”- locuzione che prende vita dal nome di un noto opificio metalmeccanico, assurto a modo di dire di molti imprenditori della nostra cittadina, allorché i suddetti imprenditori, dopo lunghe attese e solleciti che cadevano nel vuoto, paventavano qualche serio dubbio sulla solvibilità di alcuni loro debitori, dei quali, con sarcasmo e talvolta semplice ironia, si indicava agli amici la diversità e la particolarità dei compiti amministrativi dei titolari di alcune società in nome collettivo, ovvero Galli era colui che riscuoteva e Mai quello che pagava. Questa frase ricorda una ironica battuta in modenese che recita …” A t spuṡarò fra avrìil e … màai” … “ Ti sposerò fra aprile e … mai (maggio)!

* “L è fèels cóome Giùuda! “ … “È falso come Giuda! ” … di persona bugiarda;

* "Al pèer al vèin d Grimèeli"... "Sembra il vino di Grimelli"... questo Grimelli era un massone e un chimico carpigiano che inventò nel 1800 una bevanda, non troppo apprezzata, che assomigliava al vino, nel colore e poco nel sapore.

* sempre in tema … “ Scaltriti & Volponi !” per designare una persona o un atto non proprio furbo, usando, con significato ironico al contrario, il nome di una nota e prestigiosa ditta carpigiana di fabbri per lavorazione del ferro;

* una madre, scuotendo la testa, poteva sgridare il figlio adolescente, un po’ smorto e debole, con questo ironico rimprovero … “ Ii t pasèe da Batèin - Benètti? “ … “ Sei passato dalla ditta Battini - Benetti ? ” … che costruiva seghe …
1951 Pubblicità della Battini & Benetti

* per definire persone non troppo perspicaci … “ Ii t caiòun o vèe t (lavóor èt) a la Marèeli ?”, quando lo stabilimento si affacciava su Piazzale Dante prima della sua colpevole distruzione; pare che assumessero manovalanza senza guardare troppo per il sottile;

* L è caiòun (o imbambìi) cóome (damàand) Minèela!”
Per tale frase Carlo Alberto Parmeggiani ci aiuta con queste osservazioni: tipica e divertita espressione dialettale carpigiana, ormai quasi in disuso, pronunciata perlopiù a indicare dabbenaggine, se non addirittura inettitudine totale, della persona a cui tale locuzione era indirizzata nei lieti e occasionali conversarii fra conoscenti e amici. Talvolta e tempo addietro, nei giochi dei bambini nelle aree cortilive di case popolari, l'espressione succitata era adottata come spunto e incipit di cantilena, ecolalia canzonatoria, o filastrocca in rima baciata del tipo: L è caiòun cóome Minèela/ ch al caghèeva ind la scudèela/ e invéeci sò surèela/ la pisèeva ind la padèela... (È stupido come Minella/ che defecava in una scodella/ e invece sua sorella/ pisciava dentro a una padella...). Chi fosse poi tale Minèela non è dato di sapere con sicura precisione, a meno che non si vogliano prendere per vere le parole di Giulio Beltrami, vetraio noto organizzatore di incontri culturali serotini, il quale sostiene essere il Minèela null'altro che la carpigianizzazione di un cognome della pedemontana modenese. Ossia di tale Mario Arturo Minelli, un tempo proprietario di tre prosciuttifici, la cui bizzarra particolarità sembra essere stata quella di pasturare i suoi maiali con della segatura di legno, giacchè, a suo dire, ne avrebbe poi ricavato, a scariche alviche avvenute dei suini, delle formelle compatte da bruciare nelle stufe dei suoi tre uffici, risparmiando così sui costi di gestione. Spiegazione a cui però lo stesso Gianfranco Imbeni, suo sodale, si dissocia, proponendo a sua volta una ancor più fantasiosa spiegazione che, per ragioni di spazio e di rispetto per l'intelligenza del lettore, non mette conto stare a riportare.
Da altra fonte sempre di Minèela si narra ch l éera uun ch al mnèeva la pulèinta cun i dii e pò al s lamintèeva ch la scutèeva !!! … girava la polenta con le dita e poi si lamentava che scottava;

*ancora … alla domanda … “Mò chi ée l stè Minèela? … si potrà rispondere … “L è uun ch al caanta l’Aave Maria in simma ai còpp !” … “È uno che canta l’Ave Maria sui coppi dei tetti !” o anche nella variante … “L è uun ch al sòuna l’Aave Maria cun i còpp !;
L è caiòun cóome Minèela ch l andèeva a mèssa al dòop meṡdèè coglione come Minella che andava a messa al pomeriggio … quando non c’era (almeno una volta) nessuna funzione religiosa;
ancheL è fuureb cóome Minèela ch al s tirèeva su al brèeghi cun la sirèela È furbo come Minella che si tirava su le braghe con la girella;

* oppure con simile significato all’esempio che precede “ T ii fuureb cóome Scabùss! (o Scucùss, o anche Arbùss, o ancora Ugo Bertùss) “ … e uno si chiede il perché ?? … “ Perché al se schisèeva i maròun da mèeṡ (o èd tramèeṡ) a l uss!” … semplice … “perchè si schiacciava i gioielli in mezzo all’uscio! ”; il Parmeggiani aggiunge col suo tocco inconfondibile che si tratta di antifrasi e quindi locuzione dialettale derisoria, di solito lanciata all'indirizzo di un amico o di persona che abbia dimostrato o dimostri stolida imperizia in una azione, o grossolana faciloneria nella previsione delle conseguenze di un fatto che si compie o si è compiuto e che dunque si ritorce a proprio danno e a inevitabile disdoro. La locuzione, infatti, ha il suo completamento nella dipendente relativa che recita:... ch al se schisèeva i maròun damèeṡ a l uss. E chi fosse poi quel tale Scabùss, divenuto per antonomasia un modello di coglioneria certificata non è dato con certezza di sapere, mentre invece, secondo alcuni storici locali, dietro il nome di Arbùss si celerebbe tale Arbuzzi Vinifredo. Vale a dire personaggio immigrato, si dice, da Cusano Milanino agli inizi del secolo passato e del quale si racconta che si fosse evirato lasciando incautamente i propri didimi allocati fra lo stipite e l'uscio di cucina, che si era scardinato dal ganghero di sopra e che, il Vinifredo, avrebbe allora cercato ostinatamente di reinserire, tenendo salda la parte basculante dell'uscio uscito dall'arpione, appoggiandovi le parti basse del bacino.

* sempre sullo stesso argomento c’è anche questa ulteriore variante: “L è caiòun cóome Tanà!… ma non ho idea di chi sia questo possibile Gaetano; l’origine della frase è ebraica;

* “L è caiòun cóome Tanòun ch al girèeva in mèeṡ ai spèin cun al schèerpi in maan.” …”È coglione come Tanone che girava fra gli spini con le scarpe in mano. “ … esempio di stupidità;

* “L è un Gnaasi!” … “È un Ignazio!” per definire una persona drammaticamente indolente, facilona e pigra … un Sandròun … insomma;

* “Al fa la vitta d Michilàas, al maagna, al bèvv e s al va a spaas ( o al ne fa un caas). ”... “Conduce la gaudente vita di Michelaccio, mangia e beve e non fa assolutamente nulla.” È una frase che mi sembra abbia una diffusione quasi nazionale che definisce un fannullone epicureo, privo di voglia di lavorare;

* “Ma pèr chi m èe t tòolt? pèr al sòop Bèeṡla? … “Per chi mi hai preso per lo zoppo Mento?” … un individuo che certo non eccelleva per intelligenza; bèeṡla e baṡlètta significano mento, soprattutto se esso è pronunciato; a questo evidente attributo può fare pendant una bella canaapa, che è un bel nasone; tutti tratti facciali che non sfuggono di certo al linngui malèggni (alle lingue maligne);

 

* L arìiv èd Podètt, ch al tirèeva ṡò i trèev pèr vènnder i travètt. … “L’arrivo, la trovata di Podetto che tirava giù le travi per vendere i travetti. “ … si dice di una persona non perspicace che propone un’azione non certo conveniente;

 

* “L è un Bernardòun bòun stòmmegh! ”… “ È un Bernardone stomaco buono! ” … per indicare un sempliciotto che gli va bene tutto;

 

* “Mò tè … ii t Cipolli o Caciini?… si proponeva una scelta senza scampo fra due personaggi comunque di ben poco valore o inaffidabili;

 

* “Mè èd nòmm a m ciàam Bòoti !” … “Io di nome mi chiamo Botti!” … Frase modenese, derivante dal nome di un oste. Ha il senso che una certa faccenda si deve chiudere lì e immediatamente, altrimenti sono mazzate orbe;

 

* l’uso nazionale di questa diffusa e nota frase, trova dimora anche nelle nostre zone … “Al s ciàama Pietro, torna indietro” … nel senso che una cosa prestata deve assolutamente essere restituita;

 

* Scurtòun e Masòoli, Scortoni e Mazzoli. Gli scortoni erano i residui della pulitura, delle rifilatura dei tronchetti di pioppa per poi ricavare le strisce di paglia per fare le trecce. Servivano per far prendere fuoco, impièer al fóogh.

 

Alice Giovanardi (Carpi) ricorda che erano fascine lunghe circa 80 cm di liste di legnetti con ancora una parte della corteccia, erano squadrati irregolarmente; il tutto legato con fil di ferro. Servivano per avviare il fuoco; infatti negli anni 50 non c'erano gli accendifuoco!

 

I Masòoli (che è anche un cognome carpigiano), i èeren quèel ch a gh vansèeva dòop che il legno era passato sòtta a la sfuiadóora (cioè la macchina per fèer al paai da trèssa). La lama non si poteva abbassare più di tanto e a gh vansèeva un cilindro di 5-6 cm che andava bene per la stufa. Però i ragasóo ìigh taievèen dal fètti e ìigh fèeven dal róodi  pèr i cariulèin.

I stlèini erano gli scarti di falegnameria o di potatura e servivano anch'essi per avviare il fuoco nelle stufe.

 

Questi generi per il riscaldamento, negli anni cinquanta, li portava a domicilio Zuffolini, assieme al fóormi, che erano fatte con gli scarti dei graspi d'uva dopo la pigiatura;

 

* questa frase è nata nel nostro gruppo di amici, in particolare da Graziano Forghieri che aveva, dagli anni '50 agli anni '90, una bottega di bici in via Matteotti; in quella strada c'era anche una bottega di falegnami e uno di essi era conosciuto col soprannome di Meledo. Quando c'era una persona con la testa non troppo posto e degna di opportuna sostituzione gli si diceva, più o meno,... " Paasa mò subìtt da Meléedo ch al t à pialèe 'na tèesta nóova... ÈD LÈGGN!" … “ Recati ordunque e senza indugio dal falegname Meledo che ti ha approntato, con la pialla, una nuova testa di legno da sostituire alla tua!”

A tale proposito Franco Bizzoccoli e Carlo Alberto Parmeggiani riferiscono di un tormentone dei tempi dei tempi andati.

"Ah, veh... A t salùtta al marangòun." diceva uno, incontrando per strada un amico in mezzo ad altri amici.

"Che marangòun?" chiedeva l'altro incuriosito.

"Mò quèel ch a t à fàat la tèssta èd lèggn!" e si rideva di chi c'era caduto.

 

Ovviamente secondo la fantasia del momento e l'inventiva portavano varianti del tipo:

muradóor (quèel ch a t à fàat la tèssta èd prèeda),

latunèer (quèel ch a t à fàat la tèssta 'd lamèera),

fràap      (quèel ch a t à fàat la tèssta èd ghìisa),

etc...

 

* la frase ironica “"Mò gniint, Sapètt!" stava a significare una situazione o un fatto accaduto molto grave al quale però, verbalmente, si voleva dare un modesto o insignificante valore, negando una più che evidente, ma imbarazzante realtà. Ma la spiegazione più vera sembra che fosse riferita al frutaróol Sapètt, che aveva il banco in Piazzetta; costui era solito pronunciare questa frase per illustrare alla gente l’ottima mercanzia che aveva in vendita e il prezzo estremamente conveniete;

 

* “ A suun cuntèinta cóome la vèecia Marètta … ch la gh iiva al fóogh atàach a la véesta… “Sono contenta come la vecchia Maretti … che aveva il fuoco attaccato alla veste” … per indicare un stato di assoluta insoddisfazione e anche timore;

* L è vèec' coome al sumarèin èd Sabàari; è vecchio come il somarello di Sabari. É una frase che veniva pronunciata da un'anziana persona carpigiana con un dolente sospiro a ogni ulteriore compleanno: "Incóo a m sèint vèec' cóome al sumarèin èd Sabàari!"

 * In Cantaraana a òogni pòorta a gh è 'na scraana cun a séeder 'na putaana … oppure indù caanta ’na putaana. La Contrada Cantarana (via Brennero) finiva al Palamaio ed era spesso luogo di sconsolata miseria e disperata umanità, in cui si ricorda tale Braghiina che viveva di espedienti, ma superando, nonostante tutto e alla bene meglio, le più forti avversità, da cui il singolare modo di dire... " A termarà al Guèeren, mò màai Braghìin d invèeren!"... "Tremerà il Governo, ma mai Braghina d'inverno!”

 

* di taglio politico - sessuale, Parmeggiani ci indica questa singolare frase degli anni ’70 … “L è un guèeren Mòoro ! … “ È un governo Moro !” … si tratta di una locuzione metaforica, con prestiti semantici dalla lingua e dalla politica nazionale, coniata nella prima metà degli anni Settanta da abitudinari e politicizzati piazzaioli dalla parte del Bar Milano della nostra cittadina. Espressione che, contrariamente a quanto si possa pensare, era solitamente indirizzata a persona e non a qualsivoglia amministrazione del bene comune. Nella sua concrezione accomunava, infatti, gli echi della pratica economico-politica di alcuni governi storici di allora guidati perlopiù dal Presidente del Consiglio Moro (consistente nel concedere finanziamenti a piene mani a diverse istituzioni e a progetti industriali fra i più disparati e lontani fra di loro), alla chiacchierata abitudine sessuale di alcune signore o signorine delle nostre terre ricche, si diceva, e disperate. Signore o signorine vale a dire che, forse ispirate dal clima di cuccagna generale, concedevano generosamente, in comodato d'uso, i propri tesori naturali a più persone, oppure a queruli questuanti, amici degli amici, purché ne avessero data la motivazione del bisogno e avessero magari anticipato, di un ninnolo o di una fugace colazione, l’eventuale saldo delle loro abituali e gradite prestazioni

* Dario D'Incerti (Carpi) ci ricorda questa singolare e musicale filastrocca dedicata a un certo Camurri, detto Camuraana (Bizzoccoli ci racconta che si tratterebbe di colui che portava lo stendardo di apertura della processione dell’Assunta per Ferragosto e tutti sanno cheal più caiòun al pòorta al gunfalòun”), volta a sottolinearne lo scarso acume o lo scarso senso degli affari, visto che dava in cambio tre marroni per una semplice castagna:
Camuraana, 'raana, 'raana
Trii maròun pèr 'na castaagna
duu pèr duu, trii pèr trii,
Camuraana l è 'n imbambìi
È degna di nota l'ecolalia del primo verso. La doppia rima baciata ricorda, poi, inevitabilmente i Limerick di Edward Lear (Londra 1812, San Remo 1888), anche se per essere un Limerick dovrebbe avere, com'è noto, un quinto verso, la struttura AABBA e una diversa collocazione degli accenti; si conosce anche questo detto, da cui forse origina quello sopradescritto … Perde, vince, guadagnaTrii maròun pèr 'na castaagna!”

* espressione interessante, e diffusa in vaste zone, è quella... “ A sòmm in maan a Bacùss! nel senso che si è in mano una persona totalmente inaffidabile e certamente NON sobria. Chi è questo Bacùss ? Io non dubbi: la derivazione è addirittura quasi bimillenaria e non è altro che il dio Bacco delle libagioni e dei culti misterici dionisiaci greci e romani;

* la misteriosa frase “ Te m pèer la V1!” … “ Mi sembri la V1! (vu uno)” …  si riferisce a una signora magra, secca secca e di pelle scura, molto brutta, realmente esistita nel secolo scorso; costei si narra che avesse un forte appetito sessuale, con effetti tipo la bomba volante tedesca del 1944;
V1 (Fieseler Fi 103) il primo missile bomba di produzione tedesca

*L’è sèmmper tutta ingioielèeda, ch la m pèer la Generalèssa”... “è sempre tutta ingioiellata, che sembra la Generalessa”. Costei era una vistosa, bionda e assai formosa signora degli anni ’60, vedova di un alto ufficiale; quando girava sotto i portici era sempre in tiir. Già allora aveva fatto quegli interventi di ringiovanimento possibili per quell’epoca (adèesa al s ciamarèvv lifting). Era sempre tutta ingioiellata con minimo dieci braccialetti per polso, e quando muoveva un braccio era tutto un squasamèint èd feraaglia, senza contare le svariate collane al collo. Usava scarpe con tacchi altissimi e camminava sussiegosa, ticchettando pianissimo sotto al portico, offrendosi così agli sguardi stupiti della gente, che per questi suoi atteggiamenti di eclatante evidenza, le aveva affibbiato l’irridente nomignolo.

* L è più caiòun che Maṡèel, quèll ch al mnèeva la pulèinta cun l uṡèel e pò al dgiiva: “Mò maama … cumma la scòota!”
È più coglione di tale Maselli, quello che mescolava la polenta con l’uccello e gridava: Accidenti come scotta! Esempio di dabbenaggine.

* ”Al custumèeva ai tèimp èd Carlo Còddga” o “dal Ducca Pasarèin” … queste frasi indicano tempi antichi con cose o situazioni non più all'altezza del momento attuale; è provabile che questo Carlo Cotica sia una figura immaginaria, mentre il Duca Passerino fu un antico signore di Carpi nel ‘300, il ghibellino Rainaldo Bonaccolsi.
Varie però sono teorie sul Cotica e di seguito ne riporto un paio, sempre riferite a quando si vuole intendere qualcosa di molto vecchio e sorpassato.
L'origine di quest'espressione si può far risalire al 1700, quando era invalsa la consuetudine presso gli uomini di lisciarsi i capelli utilizzando del grasso di maiale, cioè applicando la cotenna di maiale (cotica / còddga) sul codino per mantenerlo compatto e lucido.
Con l'espressione " ai tèimp èd Carlo Còddga " si intende appunto dire: "quando si usava la cotenna per acconciarsi i capelli", una cosa passata in totale disuso, già nel 1800 e considerata perciò estremamente adatta ad indicare qualcosa di vecchio e assolutamente sorpassato.
Tra che la gente si lavava poco e la puzza di rancido, non oso pensare al tanfo nauseabondo.

Una seconda teoria si rifà alla circostanza che, nel primo Ottocento, il servo delle vecchie casate veniva chiamato còddga, perché indossava la marsina con le falde (cioè i còodegh). Il senso è ovviamente lo stesso, cioè qualcosa di superato.

* di conio nuovo e recente, ma molto efficace … quando una persona sa sempre tutto, quando ha già sperimentato o vissuto tutte le situazioni che vengono citate, oppure ha sempre qualcosa in più di quello che viene esposto da altri... “À ciacarèe … NOÈ ! ” … “Ha parlato Noè, cioè uno che ha visto tutto, considerato gli anni che ha vissuti”; 

*più tradizionale … “T ii antìigh cóome l’èerca d Noè!” … “Sei antico come l’arca di Noè” per definire una persona antiquata nel modo di vivere e di pensare;

* il giorno della paga o dello stipendio si celebravano strani santi protettori: San Sisidàan e San Sinsidàan (San Secenedanno o San Senoncelidanno), oppure San Paganèin (San Paga-nini). Non era difficile, infatti, che alla fine un lavoratore a s catìss cun un saas in maan (con un sasso in mano).

Catèeres cun un saas in maan

* al pèer Ridoliini! Sembra Ridolini, un comico del cinema muto degli anni 1910 - 20, che a causa delle tecniche cinematografiche di allora (18 immagini al secondo invece di 24) si muoveva sullo schermo molto velocemente e a scatti; dicesi di persona nervosa che si muove a scatti e in continuazione;un simile atteggiamento infastidisce chi è vicino a tali persone, mettendo ansia anche a chi è tranquillo;
Larry Semon – in Italia conosciuto come Ridolini

* a un bambino che ha fatto una monelleria si poteva dire: "Viin chè ch a t daagh al lusster Furmigòun!". La frase comporta la minaccia di dare una bella spazzolata al ragazzino, così come si spazzolavano con forte energia le scarpe con lucido Formigoni, prodotto a Carpi. In più si può aggiungere anche l’allusione al … “Ti faccio nero di botte!” … visto il colore del lucido;

* ecco una frase molto tagliente per gli uomini chi si tingono i capelli con improbabili colori … “L è un Tintoretto”, citando l’omonimo pittore veneziano (1518-1594); in caso poi di toni troppo accesi e ridicoli, verrà aggiunta anche la frase “A gh è scupièe al casè in tèesta!” … “ Gli è scoppiato il cachet della tinta in testa!”;

* Fèer cóome Rinèeld, ch al ne sèint nè al frèdd, nè al chèeld.” …” Fare come Rinaldo che non sente né il freddo, né il caldo.” … ovvero chi pensa solo ai suoi interessi, incurante del resto e restando indifferente ai fatti che lo circondano;

* una frase per significare che ormai una certa situazione è compromessa e chiusa definitivamente, non necessitando di altre per: “A t salùtt Benevèeli!” detto però con voce in falsetto; quest’ultimo era un venditore ambulante di limoni sotto il Portico della Minghètta (in Piazzetta - lato ovest) nella versione di Franco Bizzoccoli; secondo altre fonti non controllate la citazione a tono acuto originerebbe dal fatto che tale Culind(r)o Benevelli forse era gay;

* altra variante … “A t salùtt Mariàana!” … sempre per dire che ormai le cose sono fatte e non si torna indietro;

* ecco modi di dire con maliziosi sottintesi sessuali si poteva indicava una persona che non aveva particolare esigenze nella vita e non era né uun dificcil, né uun s-cippel (stupenda parola dialettale per definire uno schizzinoso) oppure che era messa di fronte a scelte obbligate da altri … “L è cóome la sèerva d Mariàan … al la tóoṡ cóome i gh la daan ! “ … “È come la serva di Mariani, la prende come/dove gliela danno !”.
Si conoscono anche le varianti: la sèerva d Ṡòoboli o dal prèet (la serva di Zoboli o del prete).
Il Parmeggiani definisce questa allocuzione “L è cóome la sèerva d Mariàan furbesca e d'intesa; essa il più delle volte lascia sottinteso il suo completamento fraseologico che recita: al le tóoṡ cum i gh al daan... (lo prende come glielo danno...). Tale completamento è lasciato perlopiù alla discrezione dell'ascoltatore che, sfrondata l'espressione dai suoi maliziosi sottintesi che tanto piacciano alla lingua colloquiale, può cogliere, se vuole, di colui o di colei di cui si parla per similitudini argutamente concettuali, la facilità alla vita. Ossia la poca o nulla schizzignosità di fronte alle proprie esigenze personali o a scelte complicate che l'esistenza obbliga talvolta a fare e che, evidentemente, era un tratto distintivo della fantesca succitata, di cui peraltro il buon Mariani ed altri ancora, forse della stessa casa, dovevano senz'altro aver sessualmente goduto, per quella sua innata e saggia propensione a non farsi un problema della vita.

* “Siinch e trii, òot, (òot e duu déeṡ)... Mariàana! “ cinque e tre, otto, (otto e due dieci) … Marianna !”; il significato di questa frase non mi è chiaro, potrebbe riferirsi a una azione fatta e conclusa con velocità e destrezza, tipo un furto, oppure una parodia di una litania religiosa. Il detto è accompagnato da un rapido gesto avvolgente delle dita e della mano, come se si volesse sottrarre con abilità qualcosa senza essere visti.
In quest’ultimo caso mi ricorda un po' il “gramelot” spesso citato da Dario FO, una lingua assonante INVENTATA, nella quale si inserivano discorsi, dialoghi che erano anche divertenti: la favola, il lazzo, il gioco sarcastico, il paradosso di tutte le situazioni che prendevano in giro i personaggi tronfi, prepotenti, gli sciocchi. Alfio Gozzi suggerisce che la filastrocca coi numeri fa parte di una litania goliardica che doveva canzonare le bigotte che recitavano il rosario. Le prime strofe recitavano all'incirca così: "Siinch e trii òot.... òot e duu déeṡ..... scurzavano le pie donne..... le pie donne scurzavano...aaamen."

* di solito per dire che uno è trapassato a Carpi, ma anche in tanti altri comuni, si dice che il tale è andato da … mettendo il nome del custode del cimitero che cura anche le sepolture; nella nostra città si dice “Andèer da Bulgarlòun”. La frase significa dunque passare a miglior vita e andare al camposanto, dove era custode un certo corpulento Bulgarelli, nel del secolo scorso;
Ma si diceva anche andèer da Gaal (andare da Galli), frase meno nota della precedente, sempre con lo stesso significato; questo signore all’inizio del 1900 era custode del cimitero di Carpi e abitava in una delle due torrette di Pòorta Petnèina quella di fronte al viale della stazione; di fronte alla porta c’era la grande fabbrica de Il Truciolo dal sgnóor Menotti.
Il noto industriale era rimasto vedovo dell’amatissima moglie e non riusciva a fèers èn ‘na ragiòun; così capitava a che a qualsiasi ora, anche di notte, andasse a suonare da Galli per farsi accompagnare al cimitero e a farselo aprire.
In cambio, oltre a qualche mancia, l’industriale gli passava i suoi vestiti dismessi. Per questo motivo il Galli, fuori dal lavoro, girava sempre molto elegante;

* “ Stà atèint ch a t maand a tóor da Piròun dla Sèccia!” … “ Stai attento che ti mando a prendere da Pirone della Secchia !” … Questo Pirone conduceva un cocchio con cavallo bianco di posta alla stazione, ma all’occasione (lui o il figlio) anche il carro funebre per il cimitero. Il curioso nome del personaggio non ha nulla a che fare con “tassoniani” rapimenti, ma deriverebbe, secondo la versione di Bizzoccoli, dal fatto che una volta, tornando da Modena prese una grossa baala cun un caldarèin èd vèin. La parola caldarèin ha come sinonimo sèccia ovvero secchia. Oppure perché il suddetto abitava in Via Galilei nello stesso stabile di una locanda che per antichissima tradizione era soprannominata La Sèccia;

* se uno si attentava a dire... “A suun felice !!... qualchedun altro non mancava di ribattere inesorabile... “Sè... Felice... ind al pusòot! “ rievocando la famosa barzelletta locale... “ Aiuto ! Aiuto - ”Mò chi ii t ? Indù ii t ? “ – “A suun Felice... ind al pusòot (pozzo nero)” – “ Bè... s t ii felice … alóora staa gh!”.

C’è anche una filastrocca:
Sèet, quatòordeṡ, vintùun e vintòot,
quèssta l'è la fòola 'd Felice ind al pusòot.
Che quàand al s n è adèe ch l éera adrée a caschèer,
còn tutta la vóoṡ l à tachèe a sighèer.
Peró pr al faat èd cum al s ciamèeva,
nisùun a ‘iutèer èl màai a gh andèeva.
"A suun Felice, ind al pusòot! A suun mè!"
E tutt ch i giiven:
"S t ii Felice, stà lè !!!"

* Franco Bizzoccoli nomina anche un altro Felice che veniva citato nella frase... Sèee... Bonanòot Felice! nel senso di “Siamo spacciati, non ci è rimasto più nulla!”. Felice era il gestore di un’osteria detta “Il Fumino” in centro a Carpi in via Meloni e quando verso le 2 o 3 di notte gli ultimi avventori uscivano faticosamente dal locale, per guadagnare barcollanti la propria casa, avevano finito ogni risorsa morale ed economica;

* a gente di Fosdondo, trasferitasi a Carpi, dobbiamo questa curiosa frase L'è ’na ca d Pepiino !" nel senso che ci trovava di fronte a una situazione completamente fuori controllo;

* “ A n gh ò mìa Bernardòun ch al la mèeṡna! … “ Non ho micca Bernardone che la macina (la farina = i soldi) !” … questo rimprovero di solito rivolto da un genitore a un figlio che pretende in continuazione del denaro, nel senso che di soldi ce ne sono pochi e guadagnati con fatica;

* in vaste zone dell’Italia del nord e anche da noi si usa dire … “ Precìiṡ cóome al brèeghi d Déelmo! … “Preciso come le braghe di Adelmo!” … in senso ironico e contrario; si trattava evidentemente di un paio di pantaloni con le gambe tagliate con misure vistosamente diverse; ma talora, come molto spesso capita nel dialetto, la frase viene usata anche in modo positivo per indicare una cosa esatta. Interessante anche questa ulteriore versione … “ Precìiṡ cóome al brèeghi d Déelmo, righèedi a la lunnga e stirèedi èd travèers ! … “rigate (forse cucite) alla lunga e stirate di traverso” … usato in particolar modo per commentare un lavoro impreciso e in genere mal riuscito;

* “Èsser ancòrra in dal brèeghi èd Miṡèel!” Essere ancora nelle braghe di Miselli; in senso figurato significa essere molto indietro in una certa faccenda, così tanto che la stessa non è stata nemmeno … concepita; oppure ci si può riferire a persona immatura o non preparata;

* “L è péeṡ che al sumèer èd Scàaia (o èd Bertùss)!” … “ è messo peggio del somaro di tale Scaglia (o Bertuzzi)! “ … per definire una persona sempre malandata o con tante malattie. Un’altra versione invece così recita … “ Al pèer al cavàal èd Scàaia, ch al gh iiva treintasée mèel sòtt a la còvva !… “Sembra il cavallo di Scaglia, che aveva trentasei mali sotto la coda !”.

* “L è dritt cóome Palmati !” … dicesi di cosa o opera muratoria venuta storta; Palmati, collezionista, poeta e scrittore, gestore di un negozio di cose antiche in Corso Fanti, aveva evidenti problemi alla schiena;

* “L è bundàant cóome Munndeṡ! “ è abbondante come Mundici!” … costui, un Gandolfi, a metà del ‘900 era gestore di un “paltèin” sotto il Portico del Corso e godeva fama di essere molto tirchio, tanto da passare per proverbio;

* L è svéelt cóome la curéera èd Va-lèint! È svelto come la corriera di Valenti (Va Lenti). Si gioca sul doppio senso della composizione letterale del cognome. La ditta che forniva il trasposto pubblico in zona fino agli anni ’70. Si ricorda del titolare la frase: “Ci rimetto!”, ma ancor di più per le corriere la famosa “prima alla Va-Lenti”. Quando cioè al sifùrr (safùrr o sefùrr -l’autista, da francese chauffeur) innestava una faticosa e sferragliante prima marcia di pochissimi metri, appena sufficiente per muovere la lunga e pesante corriera doppia, a cui poi seguiva immediatamente una seconda di più ampio respiro;
a duu... a duu cóome i carabinéer e al curéeri èd Valèint, difatti nelle ore di punta i mezzi si raddoppiavano e una corriera seguiva l'altra nel tragitto Carpi-Modena o viceversa; talora la seconda poteva anche prevedere la deviazione per Soliera;
nel 1973 La Ditta Cav. Primo Valenti e O. venne acquisita dall’Azienda di trasposto pubblico SEFTA e le importanti linee dei carpigiano entrarono nella rete di trasporto pubblico locale;

* L è un Va-lentiini. Dicesi di persona svogliata o flemmatica, adempie alle proprie incombemenze in tempi interminabili:
* per indicare una donna con molta chiacchiera le si diceva … “Te m pèer la Filiméede … “ Mi sembri la Filimede (Carnevali) !” … una signora di Contrada Cantarana, donna di spirito, con la lingua instancabile, … braghéera nel senso di profonda e intima conoscitrice della città e della sua gente; è stata la balia secca di Franco Bizzoccoli;

La Filiméede

Anni '60 in contrada Cantaraana (oggi via Brennero): ecco la foto della famosissima Filimede nota col soprannome di Radio Cantaraana; a forza di sbraghirare dalla finestra, a gh éera gnuu al carnùmm ind i gòmmet (il callo nei gomiti).

In un numero unico umoristico degli anni ’50 Al blèddegh (Il solletico) le venne dedicata una vignetta in Cantarana Street e una simpatica sirudèela, una delle prime opere in dialetto della poetessa Libera Guidetti:

 
La Filimede in Cantarana Street col cane Diana e il gatto Bagiola
da un vecchio numero unico umoristico carpigiano Al Blèddegh.

“Mò dì sù, csa t àan i faat?
T àan i miss in sirudèela
còn un caan e còn un gaat
e còn più d unna stanèela?"


Tutti sanno e ben si vede
che tu sei la Filimede
con "Bagiola" e con la "Diana"
la ṡbablòuna èd Cantaraana.

"Che canàaii qui dal Blèddegh,
méegh però a n gh é gniint da fèer,
dì ggh ch i vaaghen a dèer vìa al... sèddeṡ,
dì ggh ch i s vaaghen a fèer tuṡèer".
                                                           di Libera Guidetti (*)

(*) Nell’ottobre del 2013 Libera mi ha avvicinato appositamente per dirmi che questo testo, non firmato nel numero unico, era stata la sua prima composizione in rime.

* di uguale valenza la frase … “L’è braghéera cóome la vèecia Bachèela.” … “è pettegola come la vecchia Bacchelli” … purtroppo non ho notizie su chi sia questa megera impicciona;

* A t vóoi cuntèer un faat séeri! Un segréet! Mò a m arcmàand: a n diir èl mìa a nisùun; al savòmm sóol mè, tè e la ZambèelaTi voglio raccontare un fatto serio. Un segreto! Ma mi raccomando: non dirlo a nessuno; lo sappiamo solo io, tu e la Zambella.
La Zambèela faceva la carbonaia in Ṡguasalòoca, sposata con un Galli ebbe tre figlie, a loro volta conosciutissime come al surèeli Zambèeli.
Vendeva legna e carbone in una bottega in via Sguazzaloca, ora Via Giuseppe Rocca, ed era una commerciante "oligopolista", alla quale ricorrevano i carpigiani che non riuscivano a fare la scorta di legna durante l'estate. La bottega della Zambelli era conosciuta da tutti e dalla sua morte fu gestita per molto tempo dalle tre figlie e infine solo da una (la più anziana), per cui fu facile identificare le figlie col cognome-bottega della madre.
Una di esse era la paltèina (la tabaccaia) di viale Carducci e la mèeder èd Fabiìn Carretti. Tutte buonissime e oneste donne, ma note anche come dal graan braghéeri, ovvero profonde conoscitrici dei fatti della città e della gente e dotate di una naturale predisposizione all’intenso scambio verbale.

* ancora poi riportiamo un’icona massima di carpigianità: “Te m pèer Radio Bugadèera ! … “Mi sembri Radio Lavanderia”. Radio Bugadèera sta ad indicare sia il pettegolezzo in genere o comunque il passaggio di notizie più o meno segrete e/o compromettenti), sia la persona che lo mette in circolazione o fa da tramite raccontandolo. Quindi se si sente in giro una spettegolata su qualcuno si dirà a m l à ditt Radio Bugadèera (me lo ha detto Radio Lavanderia), mentre se ascoltiamo una persona che rivela un segreto o sparla di qualcuno potremo commentare … “ Sèint mò lè, Radio Bugadèera! … “Senti lì, Radio Lavanderia!”. La bugadèera in passato era il locale all'interno od all'esterno di una casa, molto spesso in comune tra più famiglie, dove si lavavano i panni. Il termine deriva infatti da bughèeda (bucato), che curiosamente in dialetto è un termine solamente femminile. Lavare i panni si dice quindi fèer bughèeda. In questo luogo, molto frequentato da donne, era normale un fitto scambio di informazioni dei fatti degli altri;

* A t al daagh mè al tabàach dal Mòoro o anche Mòrro (con la doppia erre per accentuare la violenza dell’atto)! Ti do io il tabacco del Moro !
Un modo di dire che è presente a Carpi, Modena, Milano e in tante altre zone d’Italia.
Significa: Ti do un sacco di meritate botte! Adesso ti sistemo io ! Te le do di santa ragione per una giusta punizione! Può anche significare l’aver subito una pesante sconfitta: l à ciapèe al tabàach dal Mòoro !
Quindi anche la severa intimazione..."Oooh Mòoro... stà chièet! (Ehi amico! Stai quieto!) potrebbe derivare anch'essa dal tabacco del Moro.

Il tabacco del Moro in confezione moderna
È un modo di dire che deriva da un'espressione francese “passer à tabac, che il nostro dialetto ha personalizzato con una famosa marca di tabacco trinciato da fiuto o da pipa, fine e costosa, appunto "Il Tabacco del Moro". Ciò a differenza di quelli che, arrivando dalle piantagioni spagnole centrali e meridionali, si chiamavano come i paesi d'origine.

Dalla rivista francese "Beaujolet" apprendiamo: Dans le langage maritime, un "coup de tabac" était un violent coup de vent qui risquait d'abîmer le bateau. Ensuite, au XIXe siècle, le nom "tabac" a pris le sens de "volée, coup". Sa racine "tabb" signifie "battre, frapper". "Passer à tabac", veut donc dire frapper violemment une personne.

Questo tabacco provocava sensazioni orali decise e prendeva nome dal disegno di un giovane Moro sulla confezione, probabilmente da uno degli schiavi che lavoravano nelle piantagioni di tabacco in America
Ma c’è anche chi interpreta la frase in questo modo: trattandosi anche di tabacco da masticare, per il suo gusto forte e pizzicante, poteva rappresentare … un pugno … proprio in bocca.
Curiosamente, il detto, noto in vasti territori, a Casirate, in provincia di Bergamo, prende la seguente variante: "T al dó mé al tabàr dal Moro - ti do io il tabarro del moro, cioè un sacco di botte. Tabarro … dunque, non tabacco … e il Moro era un omaccione che portava sempre un bastone con sé nascosto sotto il tabarro!

* Vèe ! Va mò a caghèer ind i àai d ArtòunOr dunque a liberare il tuo corpo negli agli di Artòun … questa frase si usa per far montar su qualcuno e mandarlo in malora. Un certo Menozzi era un contadino col soprannome Artòun (Arturone); aveva anche un bell’orto e una gran passione ad accudirlo; un anno stava guardando con soddisfazione l’appezzamento dell’orto dove dopo essere cresciuto al punto giusto era stato lasciato aglio a seccare. Ma si accorse che proprio lì in mezzo al terreno c’era proprio una bella merda di cristiano. Il fatto si ripeté, fino a quando Artòun, assetato di vendetta, dopo essersi ben nascosto, sorprese il vicino di casa intento a lasciargli l’ennesimo regalo a dispetto. Allora gli arrivò dal dietro, a la mutta, con un bel bastone, mentre l’altro stava chinandosi, calando le braghe. Gli diede un sacco di ben meritate legnate sulla schiena e lo sventurato … ind al scapèer al s éera aanch caghèe ind al brèeghi mèeṡi tirèedi ṡò!

*Il noto esperto di dialetto bolognese Luigi Lepri ci ricorda che il cognome Calèeri (Calari) è molto diffuso nel capoluogo e viene usato in dialetto per l’assonanza col verbo “calare” (diminuire, ridurre). Lo si pronuncia ironicamente verso chi si vanta o promette troppo, per invitarlo a ridurre le proporzioni di ciò che ostenta e millanta. Dunque il perentorio pronunciare di “ Calèeri!” equivale all’esortazione riduci.

* parlando di una persona a cui si augurava più o meno scherzosamente la scomparsa, si poteva esclamare … “Biṡgnarèvv tuṡèer èl a la Caṡèerio ! “ … “ Bisognerebbe tosarlo alla Caserio !” dal personaggio storico Sante Geronimo Caserio (1873 - 1894), un anarchico italiano che pugnalò a morte il presidente della Repubblica francese Sadi Carnot e morì per questo decapitato a Lione; “Tuṡèeres a l’umbèerta” significa invece a spazzola come il re Umberto I° (1844-1900);

* conviene citare poi la bigliettaia Rosina, figura immaginifica, peraltro mai esistita, dell’ex cinema di fianco al Municipio con la frase... “Caldi! Caldi ai Faanti... Roṡiina!. La frase si dovrebbe riferire al fatto che il cinemino, anch’esso di recente crudelmente assassinato e oggi scomparso, aveva poca aerazione. Il significato per assurdo è lo stesso di “ A stèmm frèssch!” (d’inverno, senza legna da ardere) nel senso che per una certa situazione c’è ormai ben poco da fare e che l’esito negativo è scontato;

* questa è proprio carpigianissima … “Sèee … i maròun d Faanti !” si riferisce ai sostanziosi attributi bronzei del cavallone della statua dedicata al generale risorgimentale di Carpi Manfredo Fanti; il grande manufatto fu collocato, scelleratamente dai soliti patrioti da tavolino con fregole da pro-loco, in mezzo alla grande piazza di Carpi dal 1903 al 1939, rovinandone completamente la geometria e l’estetica. L’invocazione dedicata alla mascolinità dell’equino sta esprimere una cosa eccessiva di qualsiasi natura che non ha ragione di essere;

* Elisabetta Spaggiari (Carpi) ci suggerisce questa frase che potrebbe risalire a un paio di secoli fa:"L è rufiàana cóome la pòovr'Emma!"... è ruffiana come la povera Emma!
Il ricordo della povera Emma si perde nel tempo, è un detto della bisnonna di Elisabetta e pòovra sta per non più tra noi. Pare fosse una nota tenutaria (rufiàana) di una casa d'appuntamenti a Carpi.
Interessante notare che a Modena usano un detto analogo, solo con un nome differente: :"L è rufiàana cóome la pòovra Jole!"

* la frase “Ciàap èggh Roṡiina, ch a t pèegh un fisù ! “ … “Indovinala Rosina, che ti regalo un fisù !” potrebbe avere due significati: uno, ironico, verso una persona che non ci prende mai, oppure l’altro, più provabile, per una situazione di cui è davvero difficile prevederne le conclusioni. Il fisù (nome di origine francese = fiscu) è uno scialle o una mantellina che le donne nelle nostre zone portavano sulle spalle d’inverno; le mie zie lo facevano a uncinetto coi rimasugli altrimenti da buttare dei gomitoli di lana; per l’indumento era sempre di vari colori a strisce orizzontali; io l’ho sempre considerato una cosa da gran “bolletta”;

* Mò chi t à frèe? Pelóoni? Ma chi ti ha ferrato? Il maniscalco Pelloni?  
La salace e consueta ironia carpigiana gioca anche qui sull'essere ferrato e sulla ferratura dei cavalli, ma ancor più degli asini. Pelloni era un noto maniscalco della prima metà del secolo scorso e aveva lo stallo in via Trento Trieste di fronte alla chiesa di San Francesco.
Quanto uno faceva troppo il saputello a sproposito e si sentiva a torto ferrato su certo argomento, sputando sentenze, poteva venir maliziosamente bersagliato con la caustica frase, che altro non rappresentava che un eufemismo di... sumèer (somaro).

* una famiglia leggendaria (assieme a quella dei Ma(r)chmàan) era la famìa di Pigòun. Costoro erano una famiglia numerosissima e caotica e la quantità dei membri era incerta, ma di sicuro smisurata. Quando cucinavano i pasti erano in quantità pantagruelica, si diceva infatti che, quàand i friṡiiven la pulèinta, i ragasóo i fèeven la lingaata ind la padèela (lingaata = scivolo sul ghiaccio), quindi figurarsi la dimensioni di quella padella... Quando qualcuno esagerava a fare da mangiare lo si rimprovera infatti … “Fèe t da magnèer pèr i Pigòun ?” … “Fai da mangiare per la famiglia dei Pigoni ?”. Quando in famiglia si fa qualcosa di esagerato, o anche quando ognuno fa le cose per i fatti suoi fregandosene degli altri, si diceva … “Mò quèssta chè l’é la famìa di Pigòun! “... “ Ma questa è la famiglia dei Pigoni !”;

* la leggenda sopra descritta trovò una derivazione e una applicazione reale con … “Fèe t da magnèer pr i Beleṡìa ?” … “Fai da mangiare per i Bellesia?” … Dovete, infatti, sapere che nel secolo passato prima a Soliera, poi a S. Marino c’era la numerosa e patriarcale famiglia dei Bellesia; ogni giorno c’era da mettere a tavola decine di persone. Pertanto quando una reṡdóora faceva una grossa spesa alimentate o aveva i fornelli pieni di pentole le si poteva rivolgere questa scherzosa frase;

* I Beleṡìa i iiven pèers duu ragasóo, mò i s éeren lughèe dedrée da la pulèinta I Bellesia avevano perso due ragazzini, ma si erano nascosti dietro una montagna di polenta … sempre per indicare le grandi quantità di cibo che venivano preparate in questa folta famiglia;

* quando Isa Caiumi era piccola e camminava scalza in casa, sua nonna le diceva... "Te m pèer la fióola de Stanlòun!"... "Sembri la figlia di Sottanone!" Poi spiegava che questo Stanlòun era un signore alto e dinoccolato che veniva a Carpi da Novi e camminava sempre scalzo nella prima metà dl '900. Lo chiamavano così perché indossava una tunica lunga quasi fino ai piedi, estate e inverno ed era sempre senza scarpe.

* “A n se gh vèdd 'n’òorba gòssa!! o cóome ind al cuul d 'na tòoca, (tacchina) ch l’à magnèe al succher Lucréesia !” … “ Non si vede nulla, come nel culo di una tacchina, che ha mangiato lo zucchero Lucrezia ! ” … il buio era molto fitto … evidentemente. E questo zucchero di Lucrezia non è altro che storpiatura della parola liquirizia;

* da un amico di Modena questo originale gioco scioglilingua di assonanze … “ Dì ggh ch i saan ch a suun Casiàan ” … “Dite loro che sanno che sono Cassiano”;

* a chi non riusciva, lamentandosi, a trovare un certo articolo o merce di qualsiasi natura, gli si poteva suggerire spiritosamente … Va mò da Focherini che lò al gh à tutt! Vai da Focherini che lui ha tutto !Focherini al gh iiva la butéega d framèinta in faacia a Valenti dal curéeri in Corso Alberto Pio a Carpi; vecchia, puzzolente e disordinata bottega piena all’inverosimile di ogni possibile oggetto. Una volta, ero alle medie, mi propose, indicandomi una grezzissima lampada a carburo esposta in bella vista davanti all’ingresso: “Tóo la mò… pèr ciapèer al raani èd nòot; un mé amìigh l è dvintèe miliardaari!!”;

* “A gh dii t Giulia?” E hai pure il coraggio e la faccia tosta di chiamarla Giulia?
Significa: “Ma cosa diavolo dici?” “A chi la vuoi dare a bere?” “Dici cosa da nulla tutto ciò?”
Si tratta di una frase di sorpresa per come viene minimizzata una cosa o una situazione che in modo estremamente palese ed evidente non lo è assolutamente.
Il modo dire si usa a Bologna, Modena e Reggio, ma anche a Carpi abbiamo testimonianze dirette, ad esempio in L’Uultma; in via Giordano Bruno, infatti, addirittura si usavano anche delle varianti: “A gh dii t Giulia, cun i ṡbaafi? (coi baffi). E anche: A nn è mìa Giulia! nel senso che non si tratta certo di una cosa facile da affrontare e risolvere positivamente.
Sempre a Carpi anche … A n suun mia Giùlli, mè! Cioè non pensare che con mè … sia facile fregarmi, come se io fossi quel tal Giulio!
In origine il modo dire sembra derivi da un’avventura boccaccesca di cui rimase vittima un marito che, rientrando in anticipo a casa dopo un viaggio di affari, trovò la moglie a letto con l’amante, anziché essere con l’amica Giulia, che doveva tenerle compagnia in assenza del marito perché aveva paura a stare da sola.
Cornelio, constatando il palese tradimento, avrebbe esclamato: “A gh dii t Giulia? Mò s la gh à aanch i ṡbaafi!”
L’episodio venne riportato in chiave comica in commedie e spettacoli musicale e si trasformò in un modo di dire.

*Beinvgnù l andé pèr baater e l è stè baatù. Benvenuto andè per battere ed è stato battuto.

* Al buuṡ dla Iaacma. La strana frase si può tradurre come … il buco della Giacoma e si tratta di un particolarissimo indicatore meteorologico valido in varie zone della nostra regione.
Al buuṡ dla Iaacma ad esempio è una parte del cielo di Reggio Emilia, delimitata da confini immaginari quanto basta, che è dotata della notevolissima proprietà di mostrare un'anteprima del cielo come sarà entro un breve futuro.
Se oggi piove e nel buuṡ si vedono dei lampi, domani ci sarà tempesta; se piove e il buco è sereno, domani sarà bello.
Al buuṡ dla Iaacma è quindi una finestra anticipatrice di previsioni apertasi nel cielo, la cui accuratezza proverbiale, anche se empirica, è stata confermata più volte da vari osservatori.

Ma “Il buco della Giacoma” è anche il titolo di un libro di Giorgio Torelli, giornalista e scrittore di Parma, classe 1928. Torelli, con arguzia, spirito di osservazione, nostalgia moderata e sottile ironia ricorda la vita di una volta raffrontandola con quella attuale.
Perché al buuṡ dla Iaacma ? Torelli lo spiega così: “… il buco della Giacoma è quell’angolo divinatore di cielo (a sud-ovest) che s’incupisce, se il nostro fato sarà maligno e si rovesceranno tuoni e fulmini sulla città; ma che si stempera ed è mitissimo, se non accadrà niente di niente”.
Al buuṡ dla Iaacma in dialetto, non era riservato a Parma città, ma lo si interrogava anche dalle campagne, come fosse un oracolo meteorologico. A Langhirano, lodata patria dei prosciutti, al buuṡ dla Iaacma era facilmente individuabile: era quella porzione di cielo sovrastante i primi contrafforti dell’Appennino, delimitata verso sud dalle ultime propaggini della pineta di Cozzano e verso ovest dalla svettante chiesetta di Castrignano. Dall’altra parte dell’Appennino nasce la brezza benefica che, dal mare, attraversa la Lunigiana, scavalca i passi del Cirone e del Lagastrello e si incanala lungo le vallate dei torrenti Parma e Baganza per scendere a massaggiare sapientemente i prosciutti in fase di stagionatura.

Ecco invece la testimonianza di un abitante delle montagna bolognese:
“Mi ricordo che da piccolo sentivo parlare dai miei nonni dal buuṡ dla Iaacma, guardandolo da Camugnano si identifica con un'apertura (una vallata) fra due monti a ridosso del Bacino di Suviana.
Anni dopo, incuriosito, cercai su internet se qualcun'altro ne è a conoscenza, e ho scoperto che a Bologna viene identificato con lo spazio di cielo a fianco di S. Luca, guardando in direzione Casalecchio.
Se si osserva al buuṡ dla Iaacma, dietro Suviana (come quello di S. Luca) è possibile prevedere il tempo! Già, perché quando le nuvole lo ricoprono, vuol dire che se si è all'aperto, è meglio rincasare!
Mi sono sempre meravigliato di come al buuṡ dla Iaacma azzeccasse le previsioni.
Il suo nome, pare che sia addirittura legato al cammino di Santiago de Compostela.

La foto ritrae al buuṡ dla Iaacma bolognese in una fredda giornata di fine dicembre 2006, ma il bel tempo è in arrivo! Si capisce dal raggio di sole, al buuṡ dla Iaacma si sta aprendo... “
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Il nome sembra in effetti deriva da San Giacomo di Compostella, in Spagna, meta di grandi (quanto inutili) pellegrinaggi. Anche nel modenese indica(va) un tratto di orizzonte che si intravede(va) a occidente fra due vette dell'Appennino. Quando si mostra(va) buio e nero, era presagio certo di brutto tempo.
Il detto si sparse per buona parte della pianura padana e anche verso Mantova e Ferrara. Ma in queste zone il detto non poteva essere applicato, perché la forcella dell'Appennino NON si poteva di certo vederla e allora il suo significato fu corrotto e trasformato, dando ad esso un tratto scurrile: “Atèinti al buuṡ dla Iaacma!”
Naturalmente era fin troppo facile attribuire all’intimazione un ben preciso significato sessuale con riferimenti morfologici a più o meno misteriosi pertugi di una certa Giacoma, che si presume fosse generosa nel loro utilizzo a vantaggio proprio e del prossimo di genere maschile.

Ultima nota seria … al reṡdóori di tutte queste zone osservavano spesso al buuṡ dla Iaacma, specialmente se il tempo era incerto, per programmare le loro attività domestiche, come l’impegnativo bucato con la cenere, la produzione della marmellata di amarene, o di altra frutta, e le lunghe camminate per recarsi al mercato.

* Aamb duu… Catùulo! Tutti e due Catullo! Quando si indicano due colpevoli o due ugualmente interessati a una certa cosa; non so però da dove derivi di preciso la frase e cosa avesse combinato questo Catullo.

* Detto vignolese; degno di interesse e lo riporto volentieri: Trèina e Gnuchètt ìin la ruvìina di puvrètt. Nei primi decenni del secolo scorso a Vignola i Trenti e i Gnochetti (scutmàai di Zagnoni) erano due famiglie di gretti agrari. L'avidità dei proprietari e i conseguenti contratti capestro erano la rovina della povera gente che lavorava le loro terre.

* ‘Na vèecia carampaana. Il modo di dire sta a indicare una vecchia signora molto truccata e agghindata, tanto da risultare ridicola.

La parola che ha origine a Venezia, dalla calle «Ca’ Rampani», che prende il nome dai proprietari patrizi Rampani; si tratta di un luogo fuorimano, lontano dalle chiese. Estinta la famiglia, gli edifici nel 1421, furono assegnati, con consenso della Repubblica, alle meretrici che presero il nome del luogo dove esercitavano la professione. Le prostitute, spesso avanti con l’età e non più esili di corpo, erano solite richiamare i clienti esibendo un vistoso e pesante trucco.
Il termine ha varcato i confini della Serenissima ed è giunto anche a Carpi col significato di denotare una donna avanti con gli anni, corpulenta, vistosa, ingioiellata e truccata, magari un po’ eccentrica, non certo rassegnata allo scorrere del tempo. L’esito, purtroppo per la signora, sarà inesorabilmente ridicolo;

* una piccola sezione può essere dedicata alla caduta della neve e in particolare e alla quantità del candido precipitato.
Accanto solite frasi, spesso per meglio significare una consistente nevicata, venivano simpaticamente citati, in discorsi familiari, nomi di persone reali, molto alte e con gambe molto lunghe.
Ecco alcuni esempi che mi sono stati riferiti.
A Carpi si poteva dire … "A n è gnuu un cuul èd Sandro Cavasòun!" … certamente si trattava di un signore molto alto e con delle gambe di dimensioni ragguardevoli.
A Campgaiàan (Campogalliano) … " A gh in viin un cuul èd Redighiéeri!"... con riferimento a tale Egidio Redighieri (tutt'ora in vita), una persona di rilevante statura.
Mentre a Limidi si usava un'altezza più contenuta, ma con riferimento a un "oggetto" probabilmente di ben consistenti e massicce dimensioni … "A gh in viin un cuul dla Tereṡiina!"

*Éelt cóome al dutóor Pulaaster. Alto come il prof Celeste Pollastri. Chimico e benvoluto insegnate di matematica (anni 60-70) di ragguardevole statura. Buon giocatore di scacchi e amante del bel canto;

Fausto Cristoni (Vignola) annota che ogni paese ha i suoi spilungoni territoriali. A Vignola si paragonava una persona lunga alla "Famìia di Satriòun", la famiglia Satrioni, la quale annoverava esponenti, sia maschi che femmine, molto alti.
Sempre a Vignola, Daniela Sacchi ricorda questo personaggio:"L è éelt coome Pippo Duedèes! (cm 2,10)."

* L è rìggid cóome al dutóor Donadiio; rigido come il dr Donadio; uno stimato medico del dopo guerra che camminava con scarsissima elasticità;

*dèer duu sòold a Gambèin (o a Gambèina o Gambètta); dare dei soldi a Gambino. Significa esortare ad affrettare il passo, dove la figura metaforica di Gambino sta indicare gli arti inferiori;

* I Pignatti… Pgnàati, Pgnatèin e Pgnatàasa!
* Al n à faat più che Mastrèel; ne ha fatte di più che Mastrilli. Si parla di una persona che si è macchiato di ogni nefandezza. Giovanni Mastrilli da Terracina a cavallo fra il 1800 e 1900 fu un feroce brigante. La sua fama di parricida, stupratore e rapinatore giunse anche a Modena e provincia. Essa venne ingigantita dal burattinaio Giulio Preti che lo fece diventare il bieco protagonista di una delle sue commedie; in carpigiano con lo stesso significato si usa Al n à faat più che Bertòold o Minèela!  il primo però malfidato e astuto e il secondo coglione;

*una signora anziana che ora non c'è più, giocando a scala 40 diceva spesso, dopo aver visto uno scarto o una calata: "Issia spusèe la Bigarèela!"
Purtroppo non conosco il fatto vero da cui si è originata questa frase, ma possiamo tentare una ricostruzione.
Il modo di dire sta a significare, in modo metaforico, il rammarico di aver fatto in passato una scelta, invece di un'altra; un’opzione che in quel momento sembrava non conveniente. Le cose però col tempo sono cambiate e oggi si esprime il disappunto di aver sbagliato. Nel gioco della scala 40 è evidente l'amaro ripensamento circa la scelta di uno scarto, di una calata di tris, del battezzo di una matta, ecc...
Può anche significare che è saggio sapersi accontentare al momento giusto, per non perdere tutto.
È quindi probabile che detto derivi da un fatto vero... chissà quando?
Un uomo, volendo sposarsi e avendo più alternative, rifiutò di prendere questa signorina Bigarelli, orientandosi su una donna diversa, forse più avvenente o più "dotata"economicamente.
Ma poi la scelta si dimostrò disastrosa.
A tale riguardo è difficile resistere all’accostamento con la gentile signore dell’immagine che segue. Infatti è davvero difficile resistere al “clamore” di questa foto che ritrae nel 1926 Barile, primo figlio di Don Zeno, e la Clementòuna Bigarèela con tanto di pipa bocca.
Accostando questa Clementona Bigarelli al modo di dire, certo sarebbe stato molto problematico sceglierla come moglie!

Una derivazione di questa frase, "Issia tòolt la Bigarèela!", la si usa ancora oggi in qualche bar di Carpi dove si pratica il gioco della carte (scala 40, pinacolo o ramino) e si riferisce appunto a una cattiva pescata dal mazzo, dopo aver rifiutato di prendere su una carta scoperta sul tavolo.
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L’aaqua Bigarèela

Un'altra singolare espressione strana del nostro dialetto legata a un cognome è misteriosa l'aaqua Bigarèela. Questo singolo modo di dire si riferisce molto semplicemente … all'acqua gas(s)ata, o come si dice... addizionata di anidride carbonica.


Questa bevanda, oggi comunissima, cominciò a diffondersi largamente anche a Carpi con il boom economico alla fine degli anni '50.
Per anni ho sentito questo modo di dire e mi sono sempre chiesto il perché e l’origine di questa espressione. Finalmente da testimonianze raccolte personalmente, e non senza difficoltà, sono riuscito, presumibilmente a ricostruire l’origine si questa simpatica espressione e lo riporto con riserva di ulteriori verifiche.
Renzo Bigarella fondò la ditta BIGARELLA DISTRIBUTORI AUTOMATICI di Cassano d'Adda (MI). Negli anni '50 il Bigarella aveva già svolto una pionieristica attività di distribuzione di caffè caldo, contenuto in thermos. Riempiva la cesta della sua bicicletta e andava a consegnare la bevanda agli operai che in quegli anni lavoravano di giorno e di notte. Nel 1963 intuì la possibilità di offrire un servizio di ristoro automatico a chi operava nelle fabbriche e successivamente a chi frequentava le scuole.
2012 Attuale logo della Ditta Bigarella

Iniziarono così a diffondersi anche a Carpi i distributori di bevande Bigarella. I carpigiani non potevano farsi sfuggire l’evento e nacque così l'espressione dialettale aaqua Bigarèela che indicava appunto la gustosa acqua gasata in bottiglia, dispensata appunto dai primi distributori automatici. Essi furono installati inizialmente alla Marelli che in quegli anni era una ditta con un rilevante numero di dipendenti e che quindi rappresentava un buon bacino di consumo
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Mingone e i suoi “parenti”
(Domenicone)

  
Interpretazione reggiana con ricami di Mingone e Minghina

Giorgio Rinaldi, noto esperto di dialetto modenese, ritiene che: “Mingòun, Tugnòun, Sandròun, ecc..., siano quei nomi molto comuni presso il popolo, resi in forma accrescitiva, più o meno bonaria, per rendere l’idea della grossolanità del personaggio. La fantasia popolare crea poi via via episodi o storielle ironiche, che attribuisce ad essi per sottolinearne e accentuarne le caratteristiche.
Il nome Mingone appare nell’opera di Giulio cesare Croce in Le piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino (1608), dove si accenna a un figlio di Mingone, così sempliciotto che trascorreva tutto il giorno a contare le onde del mare. Poi nel 1778, in un Trattato di Pratica Agraria distribuita in varj dialoghi di Giovanni Antonio Battarra, un certo Mingone proponeva di fare il pane con solo farina di patate, perché “ai contadini l’indigestione non nuoce, anzi sembra loro di essere più sazi”, cioè una bella indigestione allontana il desiderio di mangiare, perché così lo stomaco viene ingannato.
Altri episodi o motti relativi a Mingòun/ Minghìin/ Minghiina ci vengono narrati da Dante Colli, in Casa Foresti e altri sono stati raccolti da Mauro D'Orazi di Carpi.
Resta da dire che tali nomi, per la loro caratteristica maggiorativa, si prestano anche facilmente a rime buffe, sarcastiche o volgari.".

A tale proposito la mia interprezione è che per Mingone, così come per i "fratelli" Brugnoli, sui quali trovete un capitoletto subito dopo questo, si tratta di... "semi" maschere, che per qualche motivo a noi non noto o non identificabile non hanno trovato le spinte popolari, culturali e letterarie di diventare maschere vere e complete.
Dunque Mingone = semi maschera di persona sciocca e poco intelligente.
Se Mingone fosse entrato in una commedia di Goldoni, oggi staremmo parlando di qualcosa di più completo, definito e famoso; la stessa cosa per i "fratelli" i Brugnoli.

* per dire che una faccenda, con dissapori, era chiusa o al termine col vantaggio o svantaggio di una certa parte, oppure per un semplice allontanamento … “ A t salùtt Minghìin !” … oppure anche “ A t salùtt Mingòun !” che era uno molto grezzo che veniva dalla campagna, venditore di aceto. Dante Colli nel suo volume “ Casa Foresti“ ci dà questa ulteriore simpatica spiegazione: si tratterebbe di una storiella sarcastica che racconta di un Minghìin matto, che sfuggendo finalmente all’attento controllo di un infermiere si getta dalla finestra e urla soddisfatto … “A t l ò faata!” e l’infermiere, mandandolo al diavolo, con un inequivocabile gesto di commiato della mano, esclama con tono liberatorio… “ A t salùtt Minghìin !” ;

* esiste anche l’accezione al femminile con “Minghiina”; può avere un significato leggermente diverso: "A t salùtt Minghiina!” è una risposta incredula a una frase, sul tipo:"Non so se la tal persona mi farà una certa cosa, così come mi aveva promesso." E la risposta disincantata sarebbe: "Sèe! A t salùtt Minghiina!";

*L è cóome Mingòun, ch al s léeva in pée pèr vultèer galòun … È come Mingone (Domenicone), che si alza in piedi per cambiare lato del corpo su cui si dorme a letto … Una persona non certo agile e svelta; serve anche per indicare chi per fare una semplice operazione, compie azioni inutilmente complicate;

* di altro tono … “ L è pasèeda a Mingòun, ch i gh l àan tòolta da galòun (la muiéera) … la t pasarà aanca a tè!” … “ È passata la rabbia a Mingòun, che gli hanno preso la moglie da gallone (di lato a letto, mentre di notte dormivano occasionalmente in tre nello stesso giaciglio) … passerà anche a te!” … nel senso che tutto passa, anche i motivi dell’ira più profonda; anche nella varianteL è pasèeda a Mingòun, la paasa aanch ai caiòun”


* “ E Mingòun, ch al pusèeva d caiòun, invéece dla lumma al purtèeva al lampiòun.” … “E Domenicone, che puzzava di coglione, invece del lume portava il lampione.”

* “Mingòun èd Mingaràan, s a n pèega mìa incóo, al n pagarà gnaanch edmàan! … “Mingone di Mingarano, se non paga oggi, non pagherà neanche domani!” … dunque un pagatore scarso;

* Lunngh al Portèegh dla Minghètta, (lungo il portico della Minghetta); si tratta del portichino all’inizio di via San Francesco, apèina gnuu fóora da la Piasètta; la Minghètta l’èera ‘na frutaróola (fruttivendola) che teneva bottega sotto questo portico; sempre li aveva sede l’albergo La Barchetta; davanti, fuori dalle colonne, c’erano dei banchi venditori ambulanti e di pularóo (di pollivendoli, prima dell’apertura del mercato dei polli in Piazzale Ramazzini); fra gli ambulanti c’era anche la ditta Marzi Luigi e figli che poi aprì un rinomato negozio di scarpe in corso Alberto Pio, presso la galleria, rimasto in attività fino al 2012;



Anni ’30 - tre viste dal portèegh dla Minghètta in via San Francesco
Nella terza foto Umberto Lugli il primo da dx
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* un certo Minètta viene citato in questa filastrocca “endless” molto maliziosa in uso presso i ragazzini fino agli anni ’50 e ’60:
Mèina Minètta,
ciàapa chelò e pò tètta.
Tètta tetaróola,
ciàapa chelò e va a scóola.
Scóola scularèina,
ciàapa chelò e pò mèina.
Mèina Minètta
Ciàapa chelò e pò tètta.
ecc, ecc … ;

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Testo iniziale luglio 2013                                                                                    V33 del 15-08-2014


Pretonzoli
o signorotti manzoniani?

Accrescitivi personalizzati

Signorotti e preti: Don Rodrigo e Don Abbondio

di Mauro D’Orazi




Pretonzoli o signorotti manzoniani?
Accrescitivi personalizzati

di Mauro D’Orazi
Premessa
(tratta da Wikipedia)

Don è un termine comunemente utilizzato, a partire dalla metà del Duecento, come prefisso al nome, per indicare nobili del patriziato milanese e napoletano, principi, duchi, marchesi di baldacchino, ecclesiastici e religiosi. Don è l'abbreviazione della parola donno in uso ancora ai tempi di Dante, ma non più conservata, la quale deriva dalla parola latina dominus, che significa signore, padrone. Propriamente "don" non costituisce un titolo, ma è un trattamento.
Al di là dell'uso onorifico, è stato in seguito usato per chiamare i preti diocesani della Chiesa cattolica, detti anche clero secolare; e i diaconi (permanenti e non). I presbiteri religiosi, o clero regolare, sono invece chiamati con altri prefissi quali Dom, Fra (o Fratello), e il più diffuso Padre (usato anche come appellativo verso i presbiteri secolari). Quest'uso è prassi in tutt'Italia, ma fino al XX secolo non era comune in Sardegna, dove al nome del sacerdote si anteponeva la parola prete o al limite signore. Nei secoli scorsi, fino al XIX secolo, il Don era riservato ai preti appartenenti a famiglie nobili, pertanto il nome era preceduto da Reverendo Don; al contrario per i preti appartenenti a famiglie popolane il nome era preceduto dal solo Reverendo.
In Spagna il trattamento di don si può premettere al nome di tutti i maschi (per le femmine si usa doña), mentre in Francia e in Portogallo i sacerdoti usano il titolo di dom.
Esempi letterari di personaggi famosi che hanno questo trattamento sono, fra i nobili, Don Rodrigo, Don Chisciotte e Don Giovanni; fra gli ecclesiastici Don Abbondio e Don Camillo.
In Italia, specialmente in Sicilia, è un titolo per persone degne di rispetto e molto sagge (è usato, quindi, per dimostrare reverenza agli anziani), spesso erroneamente confuso con l'appellativo mafioso (ad esempio "Don Vito Corleone" de Il padrino). Negli Abruzzi, Puglia e in Calabria fino alla seconda metà del XX secolo veniva usato per indicare, oltre al sacerdote, persone di alta estrazione sociale (es. avvocati, notai, sindaci, medici, ecc.); a tali persone la gente del popolo dava del "voi" mentre esse davano loro del "tu". Al femminile veniva usato l'appellativo "donna".
Come l'analogo titolo onorifico britannico Sir va sempre accompagnato dal nome e non dal cognome.
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Nel dialetto delle nostre zone, però, si trova un uso del Dòn, oltre a quello canonico, del tutto particolare: canzonatorio, satirico e a presa in giro.
Riporto una serie di curiosi appellativi che si attribuiscono, quasi sempre bonariamente, a persone con particolari comportamenti negativi legati anche a fatte fisiche, idealizzando immaginari “notabili” di un tempo passato a rappresentare sommamente tali difetti, con tanto di titolo nobiliare: figure simbolo che eccellono in modo allegorico di particolari difetti umani.

Autorevoli storici di vicende locali sono di opinione più decisa; di seguito riporto un parere motivato e direi… efficace di Anna Maria Ori (studiosa di storia e costumi locali):
“Non mi convince per niente che il “don” derivi dall’appellativo nobiliare, ma penso solo da quello religioso. Il popolo in genere non aveva molti contatti coi nobili, e comunque a Carpi solo i Pio potevano avere il “don”, tutti gli altri no, Conti Bonasi compresi, perché erano titoli comprati e poi era sempre pericoloso prenderli in giro.
In compenso c’erano schiere di preti di famiglie abbastanza abbienti, che potevano pagare la retta del seminario, ma non molto di più. Si era in periodi in cui vigeva il maggiorascato e tutta l’eredità andava al primo figlio maschio; in caso di morte senza eredi, al secondo fratello maschio e così via.
Si può immaginare la blanda vocazione di questi preti... che il popolino prendeva in giro!

Anche lo storico Gilberto Zacchè (MN) ritiene corretta l’interpretazione sopra riportata e annota che questi curiosi modi di dire si usano non solo a Carpi, ma anche nelle zone vicine, come ad esempio nel mantovano.

L’esperto dialettologo Giuliano Bagnoli (RE) ne conferma a suo volta l’uso a Correggio e nel reggiano.
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Ecco dunque un elenco
con una serie di questi gustosi appellativi:

Dòn Intrìigh = (Don Intrigo) ci si riferisce a colui che è intricato a fare le cose, ci mette tempo, è impacciato, esegue male e fa danni. Per piantare un chiodo per un quadro fa cadere una spanna di intonaco; deve portare un vaso pieno d'acqua e lo rovescia mezzo sul pavimento, ecc… ;


Dòn Arafòun = (Don Arraffone) riferito a persone sempre pronte ad approfittare della situazione e delle debolezze della gente per far propri con ingordigia senza limiti di beni, soldi e potere altrui;

Dòn Ṡmindgòun = (Don Dimenticone) è uno che si scorda tutto e dimentica le proprie cose nei posti più strani, ecc… ;

Dòn Sugòun = (Don Sugone) ci si riferisce a persona asciutta, come un limone con poco sugo; uno che dà poca soddisfazione per cose che gli vengono presentate con entusiasmo da altri; la faccia risulta spesso arghignèeda (o argnèeda);

Dòn Pultiòun = (Don Pultione) è chi può essere definito un disastro, un creatore di disordine e di sudiciume: un paciugone. Se si lava i denti, si sporca i vestiti di dentifricio; se travasa un liquido e sporca dappertutto, se mangia un gelato e si sporca la camicia, ecc...;
Come varianti abbiamo anche Dòn Puciòun (Don Puccione) e Dòn Pastisòun (Don Pasticcione), entrambi con pochissime attitudini a svolgere attività ordinate e perfette;

Dòn Sivlòun = (Don Civettone), forse contrazione di sivetlòun (civettone, cornacchione: uccelli paludati di nero); qui ci si riferisce a un prete generico, vestito di nero, sottintendendo con le ben conosciute caratteristiche negative di questi personaggi;

Dòn Sturlòun = (Don Sturlone) si tratta di una persona ostinata, ma anche sbadata, sventata, che, nel procedere in una certa azione, sbatte la testa da tutte le parti senza costrutto;

Dòn Miṡéeria = (Don Miseria) riferito a persone nella cui casa vi regnava una indigenza nera, poco lavoro e debiti da pagare...

Dòn Pedaana = (Don Pedana) l’epiteto è riferito a chi è solito inciampare, sia perché è impacciato, sia perché ha i piedi troppo lunghi, oppure che stanno aperti; tutte tre le caratteristiche, ahimè, mi appartengono e non possono non ricordare mio padre (laziale) che appena sentiva il TOCH di un incespico, dopo due decimi di secondo … IMMANCANCABILMENTE … mi grugniva: “SCARPACCIA!”

Dòn Pugiòun = (Don Appoggione) quando qualcuno ti sta addosso, in senso fisico, e mentre ti parla ti si appoggia con le mani o il braccio alle spalle con pesantezza, gli si potrà dire spazientiti... "Dòn Pugiòun l è bèlle mòort !"... "Don Appoggione è già morto !";
oppure:”Dòn Pugiòun l è mòort ! E sò fradèel l è a l uspidèel ! " In questo caso le cose si aggravano, anche il fratello non era messo troppo bene ed è ricoverato all’Ospedale Civile Ramazzini;

altra variante: “Pogiòoli l è mòort e sò fióol al stà mèel !”… Poggioli (un cognome reale e in uso) è morto e suo figlio sta male o è in agonia. La frase si proferisce da parte di chi non sopporta che un’altra persona si appoggi a lui. Io aggiungerei anche la bella frase carpigiana, che più spesso ha anche ha un preciso valore metafisico... "Stà m su da dòos !"... "Stammi su da addosso !" … che è sempre un bel dire;
dal reggiano mi suggeriscono anche … la Ditta Appoggi (o Poggi) è fallita!

C’è poi anche un appellativo attribuito a un sacerdote carpigiano realmente vissuto nel secolo scorso e soprannominato per la sua considerevole statura e magrezza Dòn Ṡuntèe (una parola praticamente intraducibile in italiano: per renderne il vero significato non basta certo un semplice Don Aggiunto, ma occorre una perifrasi, del tipo Don fatto di parti aggiunte l’una all’altra, come spesso erano gli indumenti o la biancheria - lenzuola, coperte o tovaglie - di molti carpigiani, decorati da aggiunte strategiche).
Il personaggio era così noto che ho avuto testimonianza diretta che padre vedendo la figlia crescere molto in altezza, le diceva scherzosamente: “Te m pèer la fióola èd Dòn Ṡuntèe! (Mi sembri la figlia di Don Aggiunto!)”;
Era Don Ernesto Zanoli parroco di San Francesco ed era veramente di rilevante statura; anche il fratello era molto alto; oggi riposano assieme nel cimitero di Santa Croce, a destra sotto il portichetto.
Ma la l'ironia sacrilega dei carpigiana porta a un’ulteriore variante nel significato: infatti si parla (forse erroneamente, ma tant’è!) anche di un Dòn Ṡuntèel (Don Giuntella), perché questo prete sembrava, nel cadenzare le frasi della predica, che stesse sempre per finire, ma invece... ce ne aggiungeva sempre.

Dòn Ṡgambirlòun = (Don Sgamberlone) anche in questo caso ci si riferisce a una persona allampanata con le gambe lunghe, la cui presenza si rivela d’ingombro a chi le intorno per adempiere alle proprie incombenze: “Tóo t d ind i pée … Dòn Ṡgambirlòun!”;

Dòn Arvèers = (Don Rovescio) per persone a cui non va mai bene niente;

Dòn Montini per persone che, provocate ad arte, montano su subito; qui è poi fin troppo facile un collegamento col nome secolare di Paolo VI.

Dòn Sivèel = Al sivèel l è cal fèer che a n fa mia gnìir fóora la róoda dall'asse del carro; è unto e nero e spesso in passato (ad esempio a Fossoli) così poteva essere chiamato un prete: Don Sivèel. Sivèel può poi essere uno dei tanti epiteti negativi per una persona di scarso valore.
Un moderno sivèel potrebbe essere una coppiglia, in contesti meccanici diversi dai carri di una volta.

Dòn Tardòun = (Don Tardone) è riferito a persone lente nell’agire nella loro quotidiana gestione esistenziale; non hanno orari, arrivano in ritardo cronico con la faccia più angelica, fregandosene bellamente di coloro che li aspettano. Tutto sommato non lo fanno con malanimo (forse): è la loro strana natura che non si adatta al soverchio peso dei continui vincoli sociali di vita. Ma … che rabbia per chi deve rapportarsi con loro!




È possibile distinguere tre diverse e sciagurate tipologie:
1) l’inconsapevole - è incapace di gestire il proprio tempo; evidenzia solitamente tratti infantili e la sua scusa più frequente è “Scusami, non mi sono reso conto dell’orario!”;
2) il ribelle puro - identifica la puntualità come un’imposizione sociale; difficilmente chiede scusa per i propri ritardi, essendo convinto che il suo sia un atto di libertà;
3) il disorganizzato - è incapace di programmare la propria vita, assume più impegni di quanti ne possa portare a termine, riducendosi con affanno sempre all’ultimo momento.

***


Voglio anche citare un Don storico IL DON PIRLONE, un giornale satirico del 1850, rivolto in particolare contro il clero con una satira dissacrante.

***
Una piccola parentesi merita anche uno strano frate… tale Pèder Vòolta; costui aveva una singolare abitudine che ci viene tramandata all’inizio di una filastrocca molto diffusa un tempo fra i bambini:
A gh éera 'na vòolta Peder Vòolta, C'era una volta Padre Volta,
ch al caghèeva in 'na spòorta.                che cagava in una sporta.
Ma la spòorta l'éera ròtta               Ma la sporta era rotta
e Pirèin ch al gh éera sòtta            e Pierino [nome variabile] che era sotto
al l'à magnèeda tutta!                    l'ha mangiata tutta!
***


Accrescitivi   personalizzati

Ho poi trovato un'altra forma assai particolare di attribuire un nome d’occasione, provvisorio a certe persone per la loro dabbenaggine e che si potrebbe definire come sostantivizzazione accrescitiva del predicato verbale.
Questi modi di dire si usano in frasi intimative per sbeffeggiare o sgridare qualcuno che ha tenuto un comportamento, che, anche se meditato, ha prodotto risultati sbagliati, nulli o inefficaci.
Ecco alcuni esempi. Un giocatore di non eccelsa abilità non trova la carta giusta nel gioco e perde. Allora si giustifica pignucolando: "Mò mè a vliiva catèer la tèel chèerta! (Ma io volevo trovare quella tal carta!"
Il compagno inviperito allora gli risponderà: "Mò ’sa vóo t catèer... Catòun! (Ma cosa vuoi trovare … Trovone!"
L’esempio forse più noto e divertente è però: "Mò ’sa vóo t savéer... Savòun! (Ma cosa vuoi sapere … Sapone!) Dove si gioca, con ironia tipicamente carpigiana, sulle parole sapientone e sapone, che in dialetto trovano una forzata, ma irresistibile fusione.
Un savòun da bughèeda
Un sapone da bucato
Altri casi:
"Mò ’sa vóo t magnèer … Magnòun!"
"Mò ’sa vóo t prilèer … Prilòun!"
"Mò ’sa vóo t cuntèer... Cuntòun!”
Mò 'sa surbèlet? Surblòun!” Ma cosa tiri su? “Sorbellone”? riferito al tirar su col brodo bollente.

e così via con... Pinsòun, Andòun, Cagòun, ecc …: insomma ce n’è per tutti i gusti!
Alla fin dei conti tutti questi XXXòun stanno ovviamente per caiòun, bambusòun, sumaròun, Sandròun,  ciacaròun, ecc…

Si nota ancora una volta anche in questi casi come sia meravigliosa la vitalità del nostro dialetto. Semplicemente si opera sulla radice verbale sav-éer  (sapere), combinandolo col suffisso nominale –òun e il gioco è fatto!
Si ottiene così un sostantivo di pura e irridente fantasia, che intensifica il significato del verbo, ma con una sfumatura di presa in giro che sottolinea la caiuniiṡma del soggetto, l’inutilità o la stupidità di quella sua particolare azione, ma non una condizione generale.
Anche il Parmeggiani (Carpi) conferma che nel nostro dialetto, come nella lingua italiana, un accrescitivo funziona sia come sostantivo che come aggettivo, pur prendendo origine da un verbo, da un predicato (vedi mangione, sciupone, credulone, chiacchierone, ecc …).


I ”Fratelli” Brugnòoli
Noti professionisti in Carpi

Per ultimo … un caso davvero particolare è la complessa e polimorfica figura di tale (o tali) Brugnòoli; i modi di dire legati a questo buffo cognome hanno varie sfumature di significati: tutti ironici e per prendere in giro l’interlucutore. In primis si riferiscono a una cosa o una azione di un qualsiasi tipo che una persona non eseguirebbe MAI e POI MAI per nulla al mondo. La figura del Brugnoli avrebbe tutte le caratteristiche per essere quasi una maschera (o una macchietta) sul tipo del dottor Balanzone, ma nonostante la sua presenza nel parlato popolare e nei tanti modi di dire scherzosi, non è mai assurta concretamente a tale dignità di ruolo.
Il problema è che di questi Brugnoli a Carpi ce ne sono due: “A nn al farèvv gnaanch s a m l urdnìss al dutóor Brugnòoli! ovvero “Non lo farei neanche se me lo ordinasse il dottor Brugnoli! ”, quindi neanche sotto la più cogente e coattiva prescrizione medica.
Oppure Gnaanch s a m al dgiss l inṡgnéer Brugnòoli!!”, ovvero “Neanche se me lo dicesse l’ingegner Brugnoli !”, anche in questo caso la persona che pronuncia la frase non eseguirebbe MAI una certa azione, neppure sotto precisa disposizione di un autorevole tecnico - professionista.
Chi sia o chi siano questi Brugnoli non è dato sapere; c’è però da dire che dopo feroci discussioni e interminabili polemiche con amici e parenti su quale fosse la versione giusta (medico o ingegnere ? - “A ca mìa a s è sèmmper ditt acsè!”... “No! No! NO! Da nuèeter...a s giiva in cl’èetra manéera!”) ho scherzosamente e saggiamente deciso di battezzarli di mia scelta come due possibili fratelli di origine settentrionale... liberi professionisti del 1800 o dei primi del ‘900. Sarà poi vero?
Mahh!!?! A n crèdd mìa!! Mò a m pièeṡ pinsèer acsè.

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Esiste poi anche un’ulteriore accezione: per rimproverare una persona che trova difficoltà non giustificata a capire o a fare una piccola e facile cosa talora manuale. Allora lo si apostrofa con ironia … “ Óoo alóora!Ciamòmm ia l inṡgnéer Brugnòoli!” “Allora !... Chiamiamo un tecnico super specializzato per capire o fare questa piccola e facile operazione che non ti riesce!”.





Ecco un’esemplificazione, a doppio o triplo senso, del modo di dire:

Domanda: “Se non capite questa vignetta … ve la spiego!”
Risposta:” Mò sé! A n gh vóol mia l inṡgnéer (o al al dutóor) Brugnòoli!
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Non va dimenticato in questo contesto al dutóor Bunéega ch a l curèeva al buuṡ dal cuul cum ch al fuss 'na brutta piéega (il valente dottor Bonaga che curava il pertugio posteriore, credendo fosse una brutta piaga). Una figura di medico emiliano romagnolo per certi aspetti riconducibile anch’esso alla maschera bolognese del dr Balanzone
Sempre proposito invece del dottor Brugnoli, il conoscitore di “cose locali” Franco Bizzoccoli mi ricorda che l’origine di tale misteriosa figura potrebbe essere ferrarese e che al “cafè” solo in occasione del gioco ragionato dello scopone, che ha regole ferree matematico/scientifiche, se si faceva una bella giocata si veniva elogiati con un Óo... mò t ii stèe a scóola dal dutóor Brugnòoli!” (“Ohh... ma sei stato a scuola dal dr Brugnoli ! ”); ma in caso di tragico errore “S a te vdiss al dutóor Brugnòoli al t darèvv ’na scupaasa!“ (“Se ti vedesse il dr Brugnoli di darebbe una scopaccia!”).
La madre di qualche discolo poteva poi lanciare questa minaccia: “A t daagh 'na s-ciàafa ch a n t la chèeva gnaanch al dutóor Brugnòoli.Ti dò una tale sberla che non te la toglie nemmeno il dr Brugnoli con la tutta la sua arte e abilità.
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Altre indicazioni relative ai Brugnoli mi sono arrivate da altre fonti.
Stefania Bellelli (Carpi) riferisce che è esistito un dottor Brugnoli abitante a Carpi fine 800. Mentre dell'ingegnere nulla sa.

Luigi Lepri (Bologna), noto esperto di dialetto bolognese e autore fra le tante cose della rubrica del sabato di Repubblica "Dì ben su fantèsma!” così mi ragguaglia:
“Bologna, 3-3-2011
 Caro Mauro, a Bologna, che io sappia, un detto del genere non c'è.
Potrebbe essere un personaggio localizzato dalle vostre parti.
Da noi dei notissimi Brugnoli sono comunque esistiti:
Era una famiglia di editori e librai dell'Ottocento, attivi fino agli anni 1950 nella gestione di una libreria circolante, in Via DÈ Toschi, dove i meno abbienti prendevano libri a prestito per una piccola somma. A Bologna, per questa attività, erano famosi.
Io, da pargolo, ci andavo per incarico di mia madre e ritirare o restituire libri che lei leggeva e non poteva acquistare.
Ma che la loro fama sia arrivata fino a voi ho forti dubbi.
Ciao Gigén Livra”
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Lo scrittore carpigiano Carlo Alberto Parmeggiani aggiunge: “Bizzoccoli ha ragione. Al dutóor Brugnòoli è spesso e ancora citato durante il gioco della carte fra gli anziani che talvolta motteggiano sul termine "dutóor", ovvero "duu a tóor e uun a dèer"

Mauro Prandi (Carpi), negli anni ’90, soprannominò un ragazzo che frequentava il suo bar e aveva molti brufoli in faccia … Brugnòoli.

**=M=**


Approfondimenti di cognomica carpigiana

Non tratterò qui degli scutmàai, mitici soprannomi delle nostre zone che identificano le famiglie (Lùi = Bghìin, Allegretti = Placàan), né dei meno storicamente titolati sovranòmm o sovernòmm (al Ròss, al Sòop) che individuano un singolo personaggio e che, a loro volta, solo col tempo e la discendenza talora si trasformavano in scutmàai.
Questi ultimi, presenti una volta a centinaia e oggi solo in piccola parte sopravvissuti o conosciuti, stanno a indicare e distinguere le gentes carpigiane con lo stesso cognome.
Il complesso tema degli scutmàai carpigiani è stato approfondito in modo esaustivo da Attilio Sacchetti nel suo libro “Carpi, una volta. Aspetti della società carpigiana tra Ottocento e Novecento” del 1998.
Nessuno, ci pare fino ad ora, si era però soffermato sui normali cognomi e la loro “deformazione” nel nostro dialetto, né tanto meno sui nomi di battesimo.
Abbiamo elencato con l’aiuto di tante volenterose fonti oltre 500 cognomi in carpigiano, che nella parlata dialettale subiscono sensibili variazioni (Baracchi - Baraaca, Pellacani – Placàan, Pollastri – Pulaaster, ecc …), mentre abbiamo tralasciato quelli che restano invariati o al massimo subiscono solo il caratteristico allungamento di vocale carpigiano (Po, Fabbri, Prandi, ecc …).
Non tutti i cognomi poi si prestano ad alterazioni: possono esserci infatti difficoltà di pronuncia o una storpiatura inaccettabile del termine. Ma se si fa fatica a dire "la Riiga", si può risolvere il problema con una perifrasi, per esempio quèlla di Riigh(i), se proprio non se ne può fare a meno.
Esperti ed esperte del ramo ci avevano prudentemente avvertito che un’impresa globale e scientifica era praticamente impossibile, in quando nei secoli scorsi le variazioni dei cognomi erano pressoché infinite.
Per questo motivo abbiamo modestamente limitato il campo della nostra ricerca, basandolo essenzialmente sulla nostra esperienza, sulla nostra memoria e quindi sul nostro vissuto. Ciò ha fatto sì che l’elenco che abbiamo costruito, un mattoncino dopo l’altro, sia una foto (manchevole) che abbraccia grosso modo SOLO gli ultimi 50 anni del 1900. La nostra ambizione si stempera in questo mezzo secolo.
*0*
Esistono poi caratteristiche particolari e interessanti sui nomi e sui cognomi sui quali non si è mai indagato; sono emerse così varianti e declinazioni.
In genere le famiglie in quanto gruppo, o meglio clan familiare di maschi, erano indicate al plurale: i Martinée, i Artióo, i Gavióo, ecc...
Vengono riportate anche le curiose varianti al femminile di molti cognomi per indicare la moglie del capofamiglia riconosciuto (la reṡdóora): la Bulgarèela, la Mèsscla (la Mescoli), la Lùia (la Lugli), la Manichèerda, la Malavèeṡa, la Batèina, ecc...
Infatti è uso nelle nostre zone che il cognome, acquisito o originale, della donna venga declinato al femminile. Caratteristico è il fatto che la donna sposata prenda il cognome al femminile del marito. Una donna sposata a un Paciòun (Pacchioni), potrà essere individuata come la Paciòuna.
Ma questa trasformazione al femminile non vale solo per le maritate, ma trova applicazione, però col cognome di origine, anche nel caso di una bambina, di una putta di una certa età non sposata, di una signora di una famiglia molto importante o dal riconosciuto carattere molto forte e autorevole.
L’ultima accezione desta anche un notevole interesse di costume sociale in un’epoca non certo paritaria fra i generi.
Un notissimo esempio a Carpi si è avuto cun al surèeli Ṡambèeli (figlie di un Galli – rappresentante di commercio - un viaṡadóor - e di una Zambelli – commerciante in carbone). Queste signore, commercianti esse stesse e appartenente alla piccola - media borghesia, hanno sempre conservato la loro denominazione per due generazioni e anche dopo il matrimonio. Con tutta provabilità la loro personalità era troppo forte, spiccata e nota, per essere assorbita dal ceppo familiare dei mariti.
Inserzione pubblicitaria del 1935 a Carpi –
Da qui hanno cominciato a denominare l’esercizio “da la ṠAMBÈELA ".
Era la madre della Zora, suocera di Ciro Carretti e nonna di Hermada, Wanda e Dea.
Bisnonna di Fabio Carretti e Claudio Dr. Orlandi.
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Un altro aspetto curioso è la declinazione al femminile di incontrollabili e forti momenti di rabbia tipici di una certa progenie. Non di rado abbiamo sentito curiose frasi del tipo:
Stà atèint ragasóol che s a m viin la Lùia o … la Camurra, la Bulgarèela, la Tóoṡa! Sottinteso la raabia (la rabbia tipica e nota) di quella certa famiglia, che si è trasmessa per generazioni per DNA via via ai discendenti.
Ci sono poi delle varianti fonetiche: i Malagoli erano i Malaghìin, ma la moglie restava … la Malaghiina.
Anna Maria Ori ricorda che le famiglie fino al Settecento scorso erano sentite come gruppi allargati, come clan, e tanto più se erano potenti e facoltose. I Pio erano sempre i Pij, intesi come nucleo maschile di guerrieri o di potenti: quindi Alberto Pio era Alberto dÈ Pij, ma le donne nate in quella famiglia (e che se ne vantavano) erano singole Camilla Pia, Emilia Pia, ecc… Nella seconda metà del Quattrocento comincia l’abitudine delle donne nobili sposate di aggiungere al cognome della famiglia d’origine quello della famiglia in cui erano entrate: Benedetta del Carretto, quando sostituì il marito Marco negli affari politici, si firmava sempre Benedetta Pia. Ci sono però eccezioni: se la nuova famiglia era meno potente di quella d’origine, le mogli si firmavano sempre col loro cognome di nascita: Eleonora d’Aragona continuava a firmarsi così, anche dopo aver sposato Nicolò d’Este. C’erano nomi difficili da mettere al plurale o al femminile (come quelli che indicavano la provenienza geografia: da Gorzano, d’Este, da Carrara) e la faccenda si complicava, ma tutto aveva comunque delle norme riconosciute e accettate.
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Vi sono poi casi in cui la deformazione del cognome si concretizza in modo identico per il maschile e femminile.
Un esempio tipico è Pivetti; avremo Pivètta per i casi sopra ricordati, ma anche Pivètta per i maschi della famiglia; un altro caso è ad esempio Baracchi con Baraaca.
A tale riguardo sempre la Ori ricorda che la cosa non è poi così strana. I cognomi si fissarono solo col Regno d’Italia, dopo una timida razionalizzazione nel Settecento. Prima erano più spesso al singolare, e quindi non è detto che chi li usava avesse la sensibilità di adoperarli al femminile. Ognuno li usava come li sentiva e come voleva, pur di spiegarsi e farsi capire; la grammatica non era ancora stata inventata: se si diceva Pivètta, Minèela, Runchètta, Saiètta ci si riferiva a uomini e quindi erano nomi maschili; se si volevano indicare le mogli, si premetteva l’articolo “la”, e diventavano femminili. Ma c’erano anche cognomi che finivano in consonante, come Barabàan ; e questo era maschile (e anche plurale), mentre la spóoṡa (solo lei) era la Barabaana !
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Lo scrittore Carlo Alberto Parmeggiani ritiene che forse dipende dal fatto che ai tempi in cui si formava il nostro dialetto certi cognomi non facevano parte della nomenclatura degli abitanti del luogo in cui il dialetto stesso si stabilizzava Esposito, Pavesi, ecc... Era pure assente l'uso improprio della cognomizzazione, tanto che all'apparire, poi, di nuovi cognomi spesso, per l'impronunciabilità o l'inutile oziosità di trovarne una trasposizione dialettale, li si “battezzava” con i soprannomi … al Napoletàan, al Sicigliàan, al Pramṡàan, al Mantvàan (il Mantovano) , ecc...
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C’è poi un’annotazione particolare legata ai diminutivi in èin e gli accrescitivi in òun dei cognomi e dei nomi. Si tratta di una di quelle sfumature maliziose e perfide, ma nello stesso tempo sagaci e sottili, tipiche del nostro dialetto. Un linguaggio, spesso spietato, che rispecchia naturalmente l’animo della nostra gente nell’evidenziare puntigliosamente i difetti e le inadeguatezze altrui, spesso dimenticandosi delle proprie. Queste deformazioni dimensionali valgono certo per persone rispettivamente di piccola o robusta corporatura, ma talora stanno a indicare personaggi che non godono di grande considerazione riguardo alla loro intelligenza. Esse possono sottendere epiteti di pari desinenza, non pronunciati “apertis verbis”, che sarebbero poi … cret-èin e cai-òun.
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Talora a livello di amici, di bar o di circoli di appassionati si tende anche a deformare il cognome; intendo più che affettuoso, può sottendere una certa poca considerazione del soggetto in questione, che si concretizza nel modificargli il cognome creando suoni lievemente di dispregiativi.
Ecco un paio di esempi:
Manderióol per Anderióol – Andreoli
ManSferdèin per Manferdèin – Manfredini.
Di solito questo è un trattamento da cui sono vigliaccamente escluse le persone importanti o autorevoli.
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In base al nostro sentito e a testimonianze che ci sono pervenute abbiamo registrato i cognomi e anche il plurale degli stessi, il femminile, i diminutivi o gli accrescitivi e altre deformazioni o contrazioni.
Abbiamo riportato il dire sia della città che della campagna e forse di qualche zona a noi vicina; ormai che senso ha fare troppe differenze?
L’elenco che ne è scaturito è senz’altro godibile e ognuno potrà cercare la propria identità dialettale, qualora esista.
La lunga lista NON è, come è facile intuire, … esaustiva; essa è gioiosamente aperta, più che a leziose e inutilmente estenuanti contestazioni, a fattivi e concreti apporti con integrazioni, varianti e correzioni. I file di Word consentono questo piccolo miracolo del progressivo e paziente perfezionamento.
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Cognomi carpigiani
di Graziano Malagoli

L’elencazione che segue è la semplice volgarizzazione o, se vogliamo, una dialettizzazione degli stessi nomi e cognomi.
Non si tratta quindi di scutmàai (che indicano una gens), ma nomi tali da individuare singolarmente le singole persone (Pirèin, Pirett, Piròun), secondo proprie caratteristiche fisiche (alto, basso, magro, grasso, femminile, plurale).
Non sono nemmeno sovernòmm (un termine usato sia nel reggiano che nel modenese e che sta ora diffondendosi anche a Carpi) che in genere erano appioppati ai singoli a mò di benevole offesa o amichevole derisione e che rimanevano nel tempo. Ne cito alcuni che ho personalmente conosciuto: Umberlòon (un ragazzo che aveva la testa grossa), Sigòlla a Mimo, Mesanòot, Frapòun, Nadrèin (per piedi piatti), Mesaséega (piccolo e magro), al Góob, Cichìin, Ciccio, Cicìin, Ciciòola, al Biònnd, al Ròss, la Biundèina, la Murtinèina (Morettina), la Rusèina, al Mòrro, Faliino, Tortèelo, Tortiina, al Bèlo, Tokio Jo, Pillo, Burtlòun, Strillo, Piriipi, Dorri, ecc...

Legenda: cognome in italiano, cognome maschile in dialetto, eventuali varianti, plurale, femminile, diminutivo e accrescitivo sempre in dialetto.

A



Adani                    Adàan(i)
Agazzani                Agasàan
Agosti                   Agòsst
Aguzzoli                Agusóol, Agusóo (pl)
Airaldi                            Airèeld
Albarani                Albaràan
Albertazzi               Albertàas, Albertaasi (pl)
Alboresi                 Alburéeṡ, ‘Buréeṡ
Aldini                    Aldèin, Aldèina (f)
Altobelli                 Altobèeli     
Amaduzzi              Amadùss
Anceschi                Ansèssch
Anderlini                Anderlèin, Anderlèina (f)
Andreoli                Anderióol, Andreóol
Annovi                  Anóov
Ansaloni                Ansalòun, Ansalòuna (f)
Arbizzi                            Arbìss
Ardizzoni               Ardisòun, Ardisòuna (f)
Ariani                    Ariàan
Arletti                    Arlètt, Arlètta (f)
Armaroli                Armaróol    
Artioli                    Artióol, Artióo (pl),
Artiulèin (dim), Artiόola (f)
Artoni                   Artòun, Artòuna (f)
Ascari                    Ascaròun (accr)
Ascolini                 Asculèin, Asculèina (f)
Attolini                  Atulèin, Atulèina (f)
Azzali                    Asaali
Azzolini                 Asulèin, Asulèina (f)


                  




B



Baccarani               Bacaràan
Baccarini                Bacarèin, Bacarèina (f)
Bacchelli                Bachèel, Bachèela (f)
Bagnoli                  Bagnóol, Bagnóola (f)
Balboni                  Balbòun, Balbòuna (f)
Baldazzi                 Baldàas
Baldini                            Baldèin, Baldèina (f)
Baldoni                  Baldòun
Balestrazzi              Balestràas
Ballabeni                Balabèin, Balabèina (f)
Balugani                Balugàan
Baracchi                 Baraaca
Baraldi                   Barèeld, Barèelda (f)
Baraldini                Baraldèin, Baraldèina (f)
Barbi                     Bèerb
Barbieri                  Barbiróol, Barbiróo (pl)
Barbolini                Barbulèin, Barbulèina (f)
Barigazzi                Barigàas, Barigaasa (f)
Baroni                   Baròun, Baròuna (f)
Bartolini                 Bartlèin, Bartlèina (f)
Bassoli                   Baasol
Battini                   Batèin, Batèina (f)
Becchi                   Bèechi
Bedocchi                Bedòochi
Belforti                  Belfòort
Bellelli                   Belèeli
Bellentani               Blintàan, Plintàan, Blintaana (f)
Belloni                            Blòun
Bellotti                   Blòot, Blòota (f)
Belmondi               Belmònnd
Beltrami                 Beltràam, Beltraama (f)
Benassi                 Benaasi
Benatti                   Benaati
Benetti                   Benètt, Benètti
Benevelli                Benevèeli, Benevèela (f)
Benzi                     Béensi
Bergamini              Bergamèin, Bergamèina (f)
Bergianti                Bergiàant, Bergiaanta (f)
Bernardelli             Bernardèeli
Bernardi                Bernèerd, Bernèerda (f)
Berni                     Bèeren, Béeren, Béerna (f)
Bernini                  Bernèin, Bernèina (f)
Bersani                  Bersàan
Bertacchini             Bertachìin    
Bertani                   Bertàan, Bertanèin (dim), Bertanèina (dim f)
Bertazzoni              Bertasòun, Bertasòuna (f)
Bertelli                   Bertèel, Bertèela (f)
Bertellini                Bertlèin, Bertlèina (f)
Bertesi                   Bertéeṡ, Bertéeṡa (f)
Bertolazzi               Bertolaasi
Bertoni                  Bertòun
Bertuzzi                 Bertùss
Bettelli                   Betèeli
Bezzecchi               Beṡèechi, Beṡècchi 
Biagini                   Biaṡèin, Biaṡèina (f)
Bianchini                Bianchìin
Bigarelli                 Bigarèel(i), Bigarée (pl), Bigarèela (f)
Bighinatti               Bighinàat
Bignardi                 Bignèerd, Bignèerda (f)
Bigoni                   Bigòun, Bigòuna (f)
Bini                       Binèin (dim)
Biondo                   Biòond
Bisi                        Biiṡ, Biṡèin, Biṡarèin (dim m)
Bizzarri                  Biṡàar, Biṡarèin (dim m), Biṡarèina (dim f)
Bizzoccoli               Bisòocol
Blondi                   Blònnd
Boccaletti               Bucalètt, Bucalètta (f)
Boccedi                  Busée, Buséeda (f)
Bolognesi               Bulgnéeṡ
Bombarda              Bumbèerda
Bonaga                  Bunéega
Bonaretti                Bunarètt, Bunarètta (f)
Bonasi                            Bunèeṡ, Bunèeṡa (f)
Bonatti                  Bunàat, Bunaata (f)
Bonetti                  Bunètt, Bunètta (f)
Bonfatti                 Bunfàat
Boni                      Bòun, Bòuna (f)
Bonini                   Bunèin, Bunèina (f)
Bonizzi                  Bunìss, Bunissa (f)
Bonnettini              Buntèin, Buntèina (f)
Bonzanini               Bunṡanèin
Borelli                   Borèeli
Borellini                 Burlèin
Borghi                   Bóoregh
Borlacchini             Burlachìin
Bortolamasi            Burtlamèeṡ, Burtlamèeṡa (f)
Boselli                   Boṡèeli
Bosi                      Bóoṡ
Botti                      Bòoti
Braghiroli               Braghiróol, Braghiróola (f)
Braglia                   Bràaia
Branchini               Branchìin
Brancolini               Branculèin, Branculèina (f)
Brandoli                 Braandol     
Brunetti                 Brunètt, Brunètta (f)
Bruschi                  Brussch
Bucciarelli              Buciarèeli    
Buchignoli              Buchignóol
Buldrini                  Buldrèin, Buldrèina (f)
Bulgarelli               Bulgarèel, Bulgarée (pl), Bulgarèela (f), Bulgarlòun (accr), Bulgarlètt (vezz)
Burani                   Buràan, Buraana (f)
Bussetti                 Busètt, Busètta (f)



C



Cabassi                  Cabàas
Cadioli                   Cadióol, Cadióola (f), Cadióo (pl)
Cadossi                 Cadòos
Caffagni                 Cafaagna
Caffarri                  Cafaara
Ca(g)liumi             Caiùmm, Caiùmma (f)
Cagnoni                 Cagnòun, Cagnòuna (f)
Cagossi                 Cagòos
Camellini               Camlèin, Camlèina (f)
Campagnoli            Campagnóol, Campagnóo (pl)
Campedelli             Campdèel, Campdée (pl), Campdèela (f)
Campioli                Campióol, Campióo (pl)
Camurri                 Camùrr, Camurra (f)
Cantarelli               Cantarèeli, Cantarèela (f)
Cantoni                 Cantòun
Canulli                            Canùll
Cappelli                 Capèeli
Cappellini              Caplèin, Caplèina (f)
Capuzzi                 Capùss
Carapezzi               Carapèes, Carapèesa (f)
Carboni                 Carbòun
Carletti                  Carlètt
Carretta                 Carètta (m e f)
Carretti                  Carètt(i)
Casari                    Caṡèer, Caṡèera (f)
Casarini                 Caṡarèin, Caṡarèina (f)
Cassiani                 Csiàan
Cassoli                  Casòoli
Castellazzi              Castlàas, Castlaasa (f)
Castelletti               Castlètt
Catellani                Catlàan
Catena                   Cadèina
Cattabriga              Catabriiga
Cattini                   Catèin, Catèina (f)
Cavalletti               Cavalètt, Cavalètta (f)
Cavallini                Cavalèin, Cavalèina (f)
Cavallotti               Cavalòot(i)
Cavani                            Cavàan
Cavazza                 Cavaasa
Cavazzoli               Cavasóol, Cavasóola (f)
Cavazzoni              Cavasòun,
Cavasòuna (f)
Cavazzuti               Cavasùu
Cavedoni               Cavdòun, Cavdòuna (f)
Cavicchioli             Cavcióol, Cavcióola (f)
Cestelli                  Cestèeli       
Chinaglia               Chinàaia
Chiossi                  Ciòos, Ciòosa, Ciusòun (accr)
Cigarini                 Sigarèin, Sigarèina (f)
Cipolli                   Sivòlla
Coccapani              Cocapàan
Colli                      Còoli
Colombo               Clòmmb
Contrasti                Cuntràast
Copelli                            Cupèel, Cupée (pl)
Corradi                  Curèe(d)
Corradini               Curadèin, Curadèina (f)
Cortesi                  Curtéeṡ
Cottafavi                Cotafèev(a)
Cova                     Còvva
Covezzi                  Cuvèss
Cremonini              Cremunèin
Crotti                    Cròoti
Cucconi                 Cucòun, Cucòuna (f)



D



Dallari                   Dalèera
Dall’olio                 Dalòoli
Da(v)olio               Da(v)òoli
Diacci                    Giàas, Giasètt (dim)
Diazzi                    Diàasi, Dgiàas
Dodi                      Dóoda
Donati                            Dunàat, Dunaata (f)
Dondi                    Dònnd
Donelli                   Dunèel, Dunèela (f) Dunée (pl)
Donzelli                 Dunṡèel, Dunṡèela (f)
D’Orazi                 DoraaSi (in omaggio a uno degli autori)
Dotti                     Dòot
Dozzi                     Dòos
Durantini               Durantèin



F


Fabretti                  Fabrètt
Facciolo                 Facióol
Facchini                 Fachìin
Faggiani                Faṡàan
Fagioli                            Faṡóol
Faglioni                 Faiòun, Faiòuna (f), Faiunsèin (dim m), Faiunsèina (dim f), Faiunsòun (accr m), Faiunsòuna (accr f)
Fancinelli               Fancinèeli
Fantini                   Fantèin, Fantèina (f)
Fantuzzi                 Fantùss, Fantussa (f)
Farina                    Farèina
Farinelli                 Farinèeli
Farsetti                  Farsètt        
Fava                      Fèeva
Federzoni               Federsòun
Ferraguti                Feragùu
Ferraresi                Fraréeṡ, Fraréeṡa (f)
Ferrari                            Feraari
Ferrarini                Ferarèin, Frarèin
Ferriani                  Feriàan
Filippini                 Flipèin, Flipèina (f)
Fiocchi                   Fiòoch(i)
Fiorini                   Fiurèin, Fiurèina (f)
Fogliani                 Fuiàan, Fuiàana (f)
Fontana                 Funtaana
Fontanesi               Funtanéeṡ, Funtanéeṡa (f)
Fornaciari               Furnaṡèer, Furnaṡèera (f)
Fornasari               Furnaṡèer, Furnaṡèera (f)
Foroni                   Furòun, Furòuna (f)
Franzoni                Franṡòun, Franṡòuna (f)
Frattini                  Fratèin, Fratèina (f)
Fregni                   Frèggna
Frignani                 Frignàan, Fergnàan
Fumagalli               Fumagàal, Fumagàai (pl)


Ferioli                    Ferióol, Farióol, Ferióola (f),
Farióo (pl)
G



Galantini                Galantèin, Galantèina (f)
Galavotti                Galavòot, Galavòota
Galeazzi                 Gaiàas, Gaiàasa (f)
Galimberti              Galimbèert
Gallesi                    Galéeṡ
Galletti                  Galètt
Galli                      Gaal, Gaala (f)
Galliani                  Gaiàan, Gaiàana (f) Gaianèela (dim m e f)
Galloni                  Galòun, Galòuna (f)
Galvani                  Galvàan, Galvaana (f)
Ganassi                 Ganaasa
Gandini                 Gandèin, Gandèina (f)
Gandolfi                Gandóolf
Ganzerli                 Ganṡèerla
Garagnani              Garagnàan, Garagnaana (f)
Gasparini               Gasparèin, Gasparèina (f), Gasparòun (accr)
Gatti                      Gaat
Gavioli                            Gavióol, Gavióo (pl)
Gazzotti                 Gaṡòot(i)
Gelmini                 Gelmèin, Gelmèina (f)
Gennari                 Ṡnèer, Ṡnèera (f)
Gherli                    Ghéerla
Ghidoni                 Ghidòun, Ghidòuna (f)
Ghizzoni                Ghisòun, Ghisòuna (f)
Giacobazzi             Giacobaasi
Giacomelli              Giacomèeli
Giaroli                            Giaróol, Giaróola (f)
Giaroni                  Giaròun, Giaròuna (f)
Gibertini                Gibertèin, Gibertèina (f)
Gibertoni               Gibertòun, Gibertòuna (f)
Giovanardi             Giuanèerd, Giuanèerda (f)
Giovannella            Giuanèela
Goldoni                 Guldòun, Guldòuna (f)
Golinelli                 Golinèel, Gulinèel,
Gulinèela (f)
Govi                     Gòvva (m e f)
Govoni                   Guvòun, Guvòuna (f)
Gozzi                     Gòoṡ, Gòṡṡi
Gradellini                 Gradlèin, Gradlèina (f)
Gramostini               Gramustèin, Gramustèina (f)
Grassi                    Graas
Grillenzoni                Grilensòun, Grilensòuna (f)
Grisendi                  Griṡènnd                
Grossi                    Gròos
Guagliumi                Guaiùmm, Guiaùmma (f)
Guaitoli                   Guàaitol, Guaitlèin (dim), Guaitlòun (accr)
Gualdi                     Guèeld, Guèelda (f), Gualdèina (dim f)
Gualtieri                  Gualtéer, Gualtéera (f)
Guandalini               Guandalèin, Guandalèina (f)
Guerzoni                 Guersòun, Guersòuna (f)
Guicciardi                Guisèerd, Guisèerda (f)
Guidetti                   Guidètt, Guidètta (f)
Guizzardi                 Guisèerd, Guisèerda (f)


I



Imbeni                  Imbèin
Incerti                   Incèert
Iotti                      Iòot(i)


L



Lancellotti             Lansalòot, Lansalòota (f)
Landini                  Landèin, Landèina (f)
Lanzoni                 Lansòun
Lazzaretti               Laṡarètt
Levizzani                Levsàan
Levratti                  Levràat(i)
Ligabue                 Ligabóo
Lipparini                Liparèin, Liparèina (f)
Lombardi               Lumbèerd, Lumbèerda (f)
Longagnani            Lungagnàan
Loschi                    Lòssch, Lòssca (f)
Losi                       Lóoṡ, Lóoṡa (f)
Lotti                      Lòot(i)
Lugli                      Lùi, Lùia (f), Luiìn (dim)
Lusetti                   Luṡètt, Luṡètta (f)
Lusuardi                Luṡuèerd, Luṡuèerda (f)
Lusvardi                 Luṡvèerd, Luṡvèerda (f)



M


Maccaferri              Macafèer
Macc(h)ioni            Maciòun
Mafezzoni              Mafesòun, Mafesòuna (f)
Magnani                Magnàan
Magnanini              Magnanèin
Magotti                  Magòot
Mailli                     Maìll, Mailla (f)
Maini                     Maìin
Malagoli                 Malagóo(l), Malaghìin (dim)
Malaguti                Malagùu
Malavasi                Malavèeṡ, Malavèeṡa (f)
Malavolti                Melavòolta
Malverti                 Malvèert
Malvezzi                 Malvèṡṡ, Malvèṡṡa (f)
Mambrini               Mambrèin
Manelli                   Manèeli
Manfredini              Munfardèin,
Munfardèina (f)
Manicardi               Manichèerd, Manichèerda (f)
Mantovani              Mantuàan, Mantvàan
Manzini                  Manṡèin, Manṡèina (f) 
Marani                   Maràan, Maraana (f)
Marastoni               Marastòun, Marastòuna (f)
Marchesi                Marchéeṡ
Marchesini             Marchiṡèin
Marchetti               Marchètt
Marconi                 Marcòun
Maretti                   Marètt, Marètta (f)
Mariani                  Mariàan, Mariàana (f)
Marmiroli               Marmiróol, Marmiróo (pl)
Martello                 Martèel
Martinelli                Martinèel, Martinée (pl), Martinèela (f), Martinlòun (accr)
Martini                   Martèin, Martèina (f)
Marverti                 Marvèert
Marzi                     Marsètti
Maz(z)elli               Maṡèel, Maṡèela (f)
Masetti                  Maṡètt
Masini                   Maṡèin, Maṡèina (f)
Mattioli                  Matióol, Matióo (pl), Matióola (f)
Mazzelli                 Maṡèel(i), Maṡèela (f)
Mazzoni                 Maṡòun, Masòuna (f)
Mazzuchelli             Masuchèel, Masuchèela (f)
Meloni                            Mlòun, Mlòuna (f)
Melotti                   Mlòot, Mlòota (f)
Menotti                  Mnòot, Mnòota (f)
Menozzi                 Mnòos, Mnòosa (f)
Merighi                  Merìigh, Meriiga (f)
Mescoli                  Mèsschel
Messori                  Amsóor
Michelini                Michilèin, Michilèina (f)
Migatti                   Migàat
Miglioli                  Miόol, Mióola (f)
Minelli                   Minèela, Minèeli
Miselli                    Miṡèel, Miṡèela (f)
Modena                 Mòodna
Monfardini             Munfardèin, Munfardèina (f)
Montanari              Muntanèer
Morandini              Murandèin, Murandèina (f)
Morselli                  Mursèel, Mursée (pl), Mursèela (f)
Moscardini             Muscardèin, Muscardèina (f)
Mussini                  Musèin, Musèina (f)
Muzzarelli               Musarèel(i), Musarèela (f)
Muzzioli                 Mussiol       


Martinlèin (dim)
N



Nadalini                 Nadalèin, Nadalèina (f)
Naderlini                Naderlèin, Naderlèina (f)
Nanetti                  Nanètt
Negri                     Néegher
Negrini                  Nigrèin, Nigrèina (f)
Nicolini                  Niculèin, Niculèina (f)
Notari                    Nudèer, Nudèera (f)



O



Orlandi                  Urlàand, Urlaanda (f)
Orlandini               Urlandèin, Urlandèina (f)
Ortolani                 Urtlàan, Urtlaana (f)



P



Pacchioni               Paciòun, Paciòuna (f)
Paglia                    Pàaia
Pagliani                 Paiàan, Paiàana (f)
Paltrinieri               Palternéer, Palternéera (f)
Panarelli                Panarèeli
Panari                   Panèera
Pancaldi                 Panchèeld
Pancani                 Pancàan
Panini                    Panèin, Panèina (f)
Pantaleoni              Pantigliòun
Panza                    Paansa
Paoluzzi                 Paolussi
Papazzoni              Papasòun, Papasòuna (f)
Papotti                  Papòot, Papòota (f)
Paradisi                 Paradìiṡ
Pasquini                Pasquèin, Pasquèina (f)
Paterlini                 Paterlèin
Pavarini                 Pavarèin, Pavarèina (f)
Pavarotti                Pavaròot, Pavarutèin (dim)
Pecchi                   Pèechi
Pederzini               Pedersèin, Pedersèina (f)
Pederzoli                Pedersóol, Pedersóola (f), Pedersóo (pl)
Pedrazzi                 Pedràasi
Pedretti                 Pedrètt, Pedrètta (f)
Pedrielli                 Pedrièel(i)
Pedroni                 Pedròun, Pedròuna (f)
Pellacani                Placàan, Placaana (f)
Pelliciar(d)i            Plisèer(d), Plisèer(d)a (f)
Pelloni                            Pelóoni, Plòun, Plòuna (f)
Piccagliani              Picaiàan, Picaiàana (f)
Pignatti                  Pgnaata, Pgnatèin (dim), Pgnatàasa
Pigoni                   Pigòun, Pigouna (f)
Pigozzi                  Pigòos, Pigòosa (f)
Pinotti                   Pinòot, Pinòota (f)
Pioppi                   Piòopa (m e f)
Pirondi                  Pirònnd
Pirondini                Pirundèin, Pirundèina (f)
Pivetti                    Pivètta (m e f)
Poggioli                 Pogiòoli, Pugióol
Poletti                   Pulètt, Pulètta (m e f)
Pollastri                 Pulaaster, Pulaastra (f)
Ponzoni                 Punsòun, Punsòuna (f)
Poppi                    Pòop
Pozzetti                 Pusètt, Pusètta (f)
Pozzi                     Pòss(i)
Prandini                 Prandèin, Prandèina (f)
Prampolini             Prampulèin, Prampulèina (f)
Pratissoli                Pratisóol, Pratisóo (pl)
Previdi                            Prèeved
Pritoni                            Pritòun, Pritòuna (f)
Protti                     Pròoti
Pullica                   Pullga


R



Ragazzoni              Ragasòun, Ragasòuna (f)
Raimondi               Raimònnd, Raimònnda (f)
Razzoli                  Rasóol, Rasόo (pl)
Rebecchi                Rebèechi, Rebèeca (f)
Reguzzoni              Regusòun, Regusòuna (f)
Remondini             Remundèin, Remundèina (f)
Richetti                  Richètt, Richètta (f)
Righetti                 Righètt, Righètta (m e f)
Righi                     Riigh
Righini                  Righìin
Rinaldi                            Rinèeld, Rinèelda (f)
Rinaldini                Rinaldèin, Rinaldèina (f)
Rizzardi                 Risèerd
Romagnoli             Rumagnóol, Rumagnóola (f), Rumagnóo (pl)
Roncaglia               Runcàaia (m e f)
Ronchetti               Runchètt(a) (m e f)
Rondini                 Rundèin, Rundèina (f)
Ronzoni                 Runṡòun, Runṡòuna (f)
Rossetti                 Rusètt , Rusètta (f)
Rossi                     Ròss(i)
Rossini                  Rusèin, Rusèina (f)
Rota                      Róoda
Rovatti                   Ruvàat, Ruvaata (f), Arvàat
Ruosi                    Róoṡ, Ruṡèina (dim. f)
Rustichelli              Rustichèel, Rustichèela (f) Rustichée   (pl)





S



Sab(b)adini            Sabadèin, Sabadèina (f)
Sab(b)atini             Sabatèin, Sabatèina (f)
Saccani                  Sacàan, Sacaagna
Sacchetti                Sachètt, Sachètta (f)
Sacchi                   Saach(i)
Saetti                    Saètt(a), Saiètta
Sala                      Sèela
Salami                            Salàam
Salardi                   Salèerd, Salèerda (f)
Salati                     Salèe
Saltini                    Saltèin, Saltèina (f)
Salvarani               Salvaràan, Salvaraana (f)
Salvaterra              Salvatèera
Salvioli                  Salvióol, Salvióola (f), Salvióo (pl)
Santachiara            Santacèera
Santini                   Santèin, Santèina (f)
Santunione            Santuniòun
Sassi                     Saas(i)
Savani                            Savàan, Savaana (f)
Scacchetti              Scachètt, Scachètta (f)
Scaglia                  Scàaia
Scaglioli                 Scaióol, Scaióo (pl)
Scalabrini               Scalabrèin, Scalabrèina (f)
Scaltriti                  Scaltrìi
Scannavini             Scanavèin, Scanavèina (f)
Scarpa                   Schèerpa
Scarselli                 Scarsèeli
Scorzoni                Scursòun, Scrsòuna (f)
Segantini               Ṡgantèin, Ṡgantèina (f)
Serafini                  Serafèin, Serafèina (f)
Sereni                   Srèin, Srèina (f)
Serra                     Sèera
Setti                      Sèeti
Severi                    Sféer, Sfiròun (accr)
                            Sfirètt (dim)
Severini                 Severèin, Severèina (f)
Sgarbi                   Ṡghèerb, Ṡgarbiìn (dim)
Ṡgarbèin (dim),
Ṡgarboun (acc)
Sighinolfi               Sighinóolf, Sighinóolfa (f)
Signorino               Sgnurèin, Sgnurèina (f)
Sili(n)gardi             Sili(n)ghèerd, Sili(n)ghèerda (f)
Silvestri                 Silvèester
Simonini                Simunèin, Simunèina (f)
Sironi                    Siròun, Siròuna (f)
Sirotti                    Siròot, Siròota (f)
Sogari                   Sughèer, Sughèera (f)
Solieri                   Suléera (m e f)
Soprani                 Supràan
Spallanzani            Spalansàan
Spinabelli               Spinabèeli, Spinabée (pl)
Spinardi                 Spinèerd, Spinèerda (f)
Spinelli                  Spinèeli, Spinèela (f)
Stabellini               Stablèin, Stablèina (f)



T



Tabiani                  Tabiàan, Tabiàana (f)
Tadolini                 Tadulèin, Tadulèina (f)
Tagliavini               Taiavèin
Talamelli               Talamèeli, Talamèela (f)
Tampellini             Tamplèin, Tamplèina (f)
Tangerini               Tangirèin, Tangirèina (f)
Tapparelli              Taparèeli, Taparlèina (dim f)
Tarabini                 Tarabèin, Tarabèina (f)
Tardini                  Tardèin, Tardèina (f)
Tasselli                  Tasèel, Tasèela (f)
Tassi                     Taasi
Tassoni                 Tasòun, Tasòuna (f)
Tavani                            Tavàan, Tavaana (f)
Tavernelli               Tavernèeli
Tavoni                   Tavòun, Tavoncèelo (dim), Tavòuna (f)
Tedeschi                Tedèssch
Tedeschini             Tedeschìin, Tedeschiina (f)
Terenziani              Terensiàan, Terensiàana (f)
Termanini              Termanèin, Termanèina (f)
Testoni                  Testòun
Tioli                      Tióol
Tirabassi                Tirabàas
Tiraboschi              Tirabòosch
Tirelli                    Tirèeli
Tognetti                Tugnètt, Tugnètta (f)
Tondelli                 Tundèel, Tundée (pl)
                            Tundèela (f)
Tommasini            Tmaṡèin
Tosatti                   Tuṡàat, Toṡaati
Tosi                      Tóoṡ
Traldi                    Trèeld, Trèelda (f)
Trentini                 Trintèin, Trintèina (f)
Trevisani               Treviṡàan
Turci                     Tuurc’, Turciòun (accr)
                             Turcìin (dim)





                                                                          U

Urbini                    Urbèin, Urbèina (f)

V



Valenti                   Valèint, Valèinta (f)
Valentini                Valintèin, Valintèina (f)
Vandelli                 Vandèeli, Vandèela (f)
Varani                   Varàan
Varini                    Varèin, Varèina (f)
Vecchi                   Vèechi
Vecchia                  Vèecia
Venturelli               Venturèeli
Venturini               Venturèin, Venturèina (f)
Verri                     Vèrr
Verrini                            Varèin, Varèina (f)
Veroni                            Vròuna (m e f)
Verzellesi               Verṡléeṡ      
Verzelloni              Verṡlòun, Ṡverṡlòun
Vescovini               Veschvèin
Vezzani                  Vesàan(i)
Vezzelli                  Vesèeli
Villani                    Vilàan
Vincenzi                 Visèins, Visèinsa (f)
Violi                      Vióola (m e f)
Vittadini                 Vitadèin, Vitadèina (f)
Volponi                 Vulpòun, Vulpòuna (f)


        
Z


Zaccarelli               Ṡacarèeli
Zagnoli                  Ṡagnóol, Ṡagnóola (f)
Zambelli                Ṡambèel, Ṡambèeli (pl), Ṡambèela (f)
Zanardi                  Ṡanèerd, Ṡanèerda (f)
Zanasi                   Ṡanèeṡ, Ṡanèeṡa (f)
Zanella                  Ṡanèela
Zanellini                Ṡanlèin, Ṡanlèina (f)
Zanetti                   Ṡanètt, Ṡanètta (m e f)
Zanfi                     Ṡaanfi
Zanfrognini            Ṡanfrugnìin, Ṡanfrugniina (f)
Zanaboni               Ṡanabòun
Zaniboni                Ṡanibòun
Zanasi                   Ṡanèeṡ, Ṡanèeṡa (f)
Zanichelli               Ṡanichèel, Ṡanichée
Zanini                    Ṡanèin, Ṡanèina (f)
Zanni                    Ṡaani
Zan(n)oni              Ṡanòun, Ṡanòuna (f)
Zanoli                    Ṡanóol, Ṡanóola (f), Ṡanóo (pl)
Zanotti                  Ṡanòot, Ṡanòota (f)
Zavanella               Ṡavanèela
Zelocchi                 elòochi
Zerbini                  Ṡerbèin, Ṡerbèina (f)
Zifferi                    Ṡiffer, Ṡiffra (f)
Zinani                    Ṡinàan
Zini                       Ṡiini
Zirondoli                Ṡirònndel, Ṡirònndla (f)
Zironi                    Ṡiròun, Ṡiròuna (f)
Zoboli                   Ṡòobol(i)
Zucati                    Ṡucaati
Zuccolini                Ṡucoliini
Zuffi                      Ṡuff, Ṡuffa (f)
Zuffolini                 Ṡuflèin, Ṡuflèina (f)





Nomi di battesimo

Chiudiamo questa ricerca con l’aggiunta anche dei nomi di battesimo usati nelle nostre zone. Anche qui ci avvarremo degli stessi criteri usati per i cognomi.
Entrano nell’elenco di quasi 200 nomi solo quelli usati in dialetto in modo sensibilmente diverso dall’italiano.
A



Achille                            Achìll
Adelmo                 Déelmo
Agnese                  Agnéeṡ, Agnéeṡa
Agostino                Gustèin
Albino                            Albèin
Aldegonda             Degònnda
Alessandro             Lisaander
Alfonsino               Alfunsèin, Funsèin (dim), Funsètt (dim)
Alfonso                 Alfòuns
Alfredo                  Fréedo, Alfridèin (dim)
Andrea                  Andreìin (dim), Andrièin
Angela                   Anṡlèina (dim)
Angelo                  Angilèin (dim), Anṡlèin (dim)
Annibale                Nibàal
Anselmo                Anséelem
Antonietta              Antuniètta, Tugnètta
Antonio                 Antònni, Antòoni, Tugnìin (dim), Tugnètt (dim), Tugnòun (accr)
Apollonia               Pulòonia
Armando               Armàand, Armandèin (dim)
Artemio                 Artèemi
Arturo                   Tuuro, Arturèin (dim), Arturòun (accr)
Attilio                    Tilli, Tiglìin (dim)
Aurelio                  Vrèeli(o)
Azio                      Aasio



B



Bartolomeo            Bartlamè
Bastiano                Bastiàan
Benedetto              Benedètt
Bernardino             Bernardèin
Bernardo               Bernèerd, Bernardòun (accr)
Biagio                    Bièeṡ, Biagìin (dim)
Bonfiglio                Figlìin (dim)



C



Carlo                     Carlèin (dim), Carlòun (accr)
Canzio                            Caansio
Cassiano                Casiàan
Caterina                 Catirèina
Cesare                   Ceṡarèin (dim), Ceṡaròun (accr)
Cinzio                    Ciinsio
Claudio                  Claavdio, Clavdiìn (dim)
Clemente               Clemèint
Clementina            Climintèina



D



Damaso                 Daamaṡ
Donato                  Dunèe         
Domenica              Minghiina (dim)     
Domenico              Minghìin (dim), Mingòun (accr), Minghètt (vezz)


E



Egidio                   Giddi
Eleonora                Leonòora
Emilio                   Emilli
Enzo                     Éenso
Erminio                 Erminni
Ernesto                  Ernèest



F



Fabio                     Faabi, Fabiìn (dim)
Fabrizio                 Fabrissi
Faustina                 Faustèina
Faustino                Faustèin (dim)
Fedele                   Féedel
Felice                    Fliiṡ
Fernando               Fernàand
Filomena               Filumèina, Filumma
Franca                   Franchiina (dim), Francòuna (accr)
Francesco              Fransèssch
Franco                   Franchìin (dim),
                   Francòun (accr)
 



G



Gabriele                 Gabariéel
Gabriella                Gabarióola
Gaetano                 Ghitàan, Ghitanèin (dim), Taniino (dim), Ghitanòun (accr), Tanòun (accr)
Gastone                 Gastòun
Geminiano             Ṡemiàan
Gennaro                Ṡnèer
Giacinto                 Giacìint
Giacoma                Iàacma
Giacomina             Iacmèina
Giacomo                Iàacm, Giacumèin (dim), Iacmèin (dim)
Gianni                   Giàani, Gianìn (dim), Gianòun (accr), Gianulòun (accr), Gianètto (dim)
Gigi                       Giig’, Gigìin (dim), Gigètt (dim), Gigiòun (accr)
Giocondo               Giocònnd
Giorgio                  Giurgìin (dim), Giurgiòun (accr)
Giovanna               Giuàana, Giuanèina (dim), Giuanòuna (accr)
Giovanni                Ṡvaan, Ṡvanèin (dim)
Girolamo               Girumèin (dim), Girumètt  (dim)
Giulio                    Giùlli, Giuliìn (dim)
Giuseppe               Iuṡèef, Iusfèin (dim), Iusfòun (accr), Pippo, Pipèin (dim), Pipòun (accr)
Giuseppina             Iusfèina
Giustino                 Giustèin
Graziano                Grasiàan, Grasianèin (dim)
Gregorio                Gregòori
                  



I



Ignazio                  Gnaasi
Ilario                     Ilaari
Ildegonda              Degònnda



L



Laura                    Laavra, Lèevra
Lauro                    Laavro, Lavrèin (dim)
Lazzaro                  Laaṡar
Leone                    Leòun
Lodovico                Aldvìigh
Lorena                   Lurèina
Lorenzo                 Lurèins
Luca                      Lucca
Luciano                  Lusiàan, Lusianèin (dim), Lucianèin
Luigi                    Luìig’, Luigìin (dim), Gigìin (dim), Gigètt (dim), Luigiòun (accr)
Luisa                     Luviiṡa, Luviṡèina (dim)



M



Marcello                 Marcèelo
Marco                    Mèerch, Marchìin (dim), Marcòun (accr)
Maria                     Mariulèina (dim), Mariètta (vezz)
Marino                   Marèin
Mario                     Mariìn (dim), Mariètt (dim), Mariòun (accr)
Martino                  Martèin, Martinlòun (accr)
Massimo                Masmèin (dim)
Matteo                   Matè
Mauro                   Maavro, Mavrèin (dim)



N



Nando                   Nandèin (dim), Nandòun   (accr)
Narciso                  Narcìiṡ
Nazario                  Naṡaari
Nunzia                   Nuunsia, Nunsiadèina (dim)
Nunzio                  Nuunsio, Nunsiìn (dim)



O

Olga                      Ulghiina (dim)                  Orsola                           Urslèina (dim)
Ombretta               Umbrètta                         Ortensia        Urtèinsia
Ornello                  Ornèelo                           Otello                  Otèelo          
                    

P



Paola                     Pèevla, Pavlèina (dim), Pavlòuna (accr), Pavlètta (dim)
Paolo                     Pèevel, Pavlèin (dim), Pavlòun (accr), Pavlètt (dim)
Pasquale                Pasquèel, Pasqualèin (dim)
Pellegrino              Pel(e)grèin
Piero                     Pirèin (dim), Piròun (accr)
Pietro                    Péeder, Pirètt (dim)



R



Raflòun                 Raffaello (accr)
Renzo                    Réenso
Romano                Rumanèin (dim)
Romolo                      Rumèela, Rumlèina (dim)
Rosina              Ruṡèina



S



Sandro                  Sandrèin (dim), Sandròun (accr)
Sauro                    Saavro, Savrèin (dim)
Sebastiano             Sebastiàan
Secondo                Secònnd
Serafino                 Serafèin
Sergio                   Sergiìn (dim), Sergiòun (accr)
Silvano                  Silvàan, Silvanèin (dim)
Silvestro                Silvèester
Simone                  Simòun


Stefano                  Stéeven, Stivanèin (dim)

T



Tiziano                  Tisiàan, Tisianèin (dim)
Tommaso              T(u)mèeṡ, T(u)maṡèin (dim)
Tonino                  Tunèin, Tugnìin



V



Valentina               Valintèina
Valentino               Valintèin
Valerio                  Valèeri
Vincenzo                Vi(n)cèins, Vincinsèin (dim)
Virgilio                  Virgilli
Virginio                 Virginni
Vittorino                Viturèin       
Vittorio                  Vitòori, Vituriìn (dim),
                            Vituriètt (dim), Vituriòun (accr)

                                                                  Z
Zeno                     Ṡéeno
Zenobio                 Ṡenòobi

*= =**





















Contributi & ringraziamenti

Hanno contribuito fattivamentea questa a questa mia prima ricerca tante persone: in particolare Anna Bulgarelli e poi Franco Bizzoccoli, Carlo Alberto Parmeggiani, Attilio Sacchetti, Giuseppina Bertolazzi, Franca Camurri, Mario Martinelli (per il titolo), il il gruppo di Facebook “Chi conosce il dialetto Carpṡàan; ancora Luigi Lepri (BO), Jolanda Battini, Anna Maria Ori, Graziano Malagoli, Giorgio Rinaldi, Graziano e Lele Forghieri, Ruggero Po, Simonetta Bonfà, Dario D’Incerti, Pietro D’Orazi, Margherita Panzani, Francesco (Bra-Gheri) Abruscato, Luisa Pivetti, Gianni Bassoli, Dante Colli, Simona Tusberti, Bianca Magnani, Gianni Luppi, Donatella Malavasi, Glauco Belmondi, Gloria Pellacani, Dafne e Renato Corsi, Patty Manicardi, Lele Vaccari, Antonella Rossi, Gloria Govi, Giorgio (Gege) Bigarelli, Luciana Tosi, Jango Grandi, Lara Bertesi, Andrea Massari, Alfio Gozzi, Miriam Bulgarelli, Andrea Artioli, Carla Bruna (pseudonimo), Monica Marchi, Daniele Bisi, Isa Caiumi, Primo Saltini, Alessio Pignatti, Stefania Bellelli, Lombardi al sèert, Gianna Gamberini, Carlone Bertani, Jango Grandi, Tiziano (Pace) Depietri, Viviana Sivori, Paoli Pasini, Mauro Magri, Erminio Ascari, Paolo Vandelli, Angela Andreoli, Renato Cucconi, Carlo Lodi, Gianna Pagliani, Maddalena Zanni, Marco e Stefano Giovanardi, Mario Attolini, Gian Pietro Piccagliani, Mario Guidetti, Pietro Gavioli, Fausta Casali, Francesco Bisi, Renzo Malavasi, Alberto Savani, Gianni Manfredini, Guido Magnani, Corrado Cattini, Elisabetta Spaggiari, Monica Giuseppetti, Bona Bellintani, Franco Toschi, Giuseppe (Gepy) Govi, Luciano + e Giorgio Guerzoni, Claudio (Cipe) Paltrinieri e Ada Menozzi.


Frutto anche del costante lavoro di ricerca sul web, con suggerimenti e con il contributo costante del già ricordato Gruppo di Facebook “Chi conosce il dialetto Carpṡàan” e del rughlètt di affezionati del bar Tazza d’Oro alle 7 del mattino e di tanti altri amici e amiche sempre pronti a portare la loro esperienza personale e familiare al servizio di un dialetto che deve e può continuare a essere parlato e vissuto
Certamente esistono altri nomi e frasi o anche interpretazioni anche molto diverse cose citate; potete mandarli con le opportune spiegazioni a dorry@libero.it  .
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